Dall’America latina, all’Europa, sinistre e movimenti sociali si mobilitano per sostenere il Venezuela di Nicolas Maduro, dopo la scoperta del colpo di stato sventato dall’intelligence. Anche Ernesto Samper, segretario generale dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), nonostate rappresenti un governo di tutt’altro segno (quello del colombiano Manuel Santos), ha affermato: «Le possibilità di un golpe militare in Venezuela rivelano una preoccupante escalation di violenza contro la sua democrazia». L’organismo regionale ha come principale consegna proprio quella di tutelare i governi democratici che ne fanno parte, e così Samper ha espresso l’appoggio dell’Unasur al presidente Nicolas Maduro.

Il presidente venezuelano ha illustrato i dettagli del piano golpista, che ha portato in carcere un gruppo di ufficiali dell’aviazione, presumibilmente legati «all’ambasciata Usa» e a politici di opposizione, chiamati in causa dai pentiti. Uno degli arrestati, Arocha Pérez (su un totale di 15 ufficiali, uno dei quali latitante) ha anche accusato il sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma e il deputato di opposizione Julio Borges: come presunti ideatori di un piano per assassinare in carcere Leopoldo Lopez, il leader della destra detenuto da quasi un anno con l’accusa di aver diretto le violenze di piazza del febbraio 2014 (43 morti e oltre 800 feriti). Ledezma e Borges hanno respinto le accuse e dichiarato che il governo vuole distogliere l’attenzione dai problemi del paese. Intanto, nuovi focolai di proteste, scoppiati principalmente nel Tachira (alla frontiera con la Colombia) hanno provocato il ferimento di 14 poliziotti e hanno portato al fermo di 11 persone.

Il piano golpista prevedeva l’attacco aereo di diversi ministeri e del palazzo di Miraflores, e l’uccisione del presidente Maduro durante un evento pubblico. Il segnale per attivarlo sarebbe arrivato dalla pubblicazione di un manifesto-appello su uno dei quotidiani privati a tiratura nazionale in forma di pubblicità. Un testo dal titolo “Appello ai venezuelani per un accordo nazionale di transizione”, che appare come una vera e propria agenda politica per ripristinare in Venezuela i dettami del neoliberismo, dietro i soliti appelli alla democrazia e ai diritti umani: «Inserire di nuovo il Venezuela nei circuiti finanziari internazionali e ottenere da questi gli appoggi economici necessari; risarcire i danni provocati dagli espropri arbitrari; rivedere lo stato reale delle imprese non petrolifere che sono cadute nelle mani dello stato per la voracità del regime; ricostruire le basi giuridiche ed economiche necessarie per attrarre gli investimenti….».
Il golpe avrebbe dovuto contare anche sullo scoppio di nuove violenze di piazza, anticipate da una relazione della Cia al Congresso Usa che ha previsto grandi turbolenze prima delle elezioni di dicembre. La destra soffia sul fuoco delle difficoltà che essa stessa provoca (sabotaggio economico, accaparramento, allarmi e discredito internazionale) e spera di trasformare in protesta le misure economiche in discussione, come l’aumento dell’irrisorio prezzo della benzina. Per ora, però, ha ottenuto solo la reazione compatta delle Forze armate, che hanno giurato a pugno chiuso fedeltà al socialismo. E quella di sindacati, movimenti popolari, intellettuali, artisti, media alternativi, che hanno lanciato l’appello “Los pueblos con Venezuela” per realizzare una settimana di mobilitazione internazionale tra il 1 e l’8 marzo. In Italia, l’appello è stato raccolto dalla rete Caracas chiAma, che riunisce collettivi, associazioni, movimenti e partiti della sinistra e che ha diffuso un comunicato di solidarietà (http://caracaschiama.noblogs.org).