Per le vie di Caracas, i canti natalizi si mischiano agli slogan che salgono dalle manifestazioni. In ogni piazza, la gente discute, tutti i settori popolari sono «in assemblea permanente», ogni giorno vi sono marce che arrivano fino a Miraflores per esprimere appoggio al presidente Nicolas Maduro. La «sberla salutare», come il presidente ha definito la sconfitta «congiunturale», che ha consegnato il Parlamento a una maggioranza qualificata di destra ( 112 deputati della Mud contro 55 chavisti), sembra aver risvegliato tutte le categorie, preoccupate di veder cancellati i piani sociali relizzati in 17 anni di «socialismo bolivariano».
Adesso sfilano i «motorizados», i moticiclisti che svolgono il lavoro di pony express o di mototaxi. Un settore informale, sempre tenuto ai margini, esposto alle aggressioni della criminalità e privo di protezione sociale. Con il chavismo non è stato più così. «Non siamo disposti a tornare indietro, difenderemo il nostro posto di lavoro, le coperture sociali e la nostra dignità. Col mio lavoro mantengo la famiglia», dice Manuelita. La sconfitta elettorale? «Colpa della guerra economica e anche dei corrotti. Ma Maduro adesso deve andare avanti. Dobbiamo farla finita con questa borghesia senza-patria».
Vicino al distributore di benzina, il conducente di un suv si affretta a pagare: per un pieno di 60 litri sono appena 2 bolivares. «Immaginati quanto vale il contrabbando alla frontiera con la Colombia – interviene Marisol – qui ci sono oltre 7 milioni di colombiani dichiarati e chissà quanti paramilitari. Abbiamo mantenuto due economie».
In piazza Bolivar incontriamo invece un noto leader dell’estrema sinistra, ex viceministro di Planificacion, Roland Dennis: «Che vada tutto a fondo – dice polemico – ce lo meritiamo, o si rifonda tutto oppure meglio lasciar perdere». Dennis rivendica la campagna per il voto nullo, che ha senz’altro influito sul risultato elettorale: quasi il 7% del voto emesso con modalità uninominale nelle parlamentari del 6 dicembre.
Quello venezuelano è un sistema misto, nel quale i voti espressi si utilizzano per eleggere i deputati attraverso due modalità, uno per gli incarichi nominali in ogni circoscrizione, e l’altro per quelli di lista per rappresentazione proporzionale, eletti in ogni singolo stato o entità federale. La quantità di voti nulli non è uguale alla quantità di elettori: una stessa persona ha potuto emettere da uno a tre voti nulli, a seconda del numero di opzioni che aveva per scegliere a livello uninominale. Nel caso del voto di lista, si sono registrati 683.000 voti nulli o in bianco.
Perciò Maduro ha dichiarato che i voti nulli erano 1,5 milioni. In 36 degli 87 circuiti nei quali si sceglievano i deputati in modo uninominale (il 41%) i voti nulli hanno superato in quantità la differenza per la quale 55 candidati sono risultati eletti. E ha annunciato l’apertura di un’inchiesta. Nelle parlamentari del 2010, il voto nullo è stato del 2,5% del totale nazionale. Un tema che raggiunge le denunce che hanno portato in carcere alcune persone, a seguito della diffusione di intercettazioni in cui rappresentanti delle destre procedevano alla compravendita di voti presso alcuni mafiosi.
Da Miami, intanto, la rivista dell’antichavista Rafael Poleo, Zeta, si vanta di aver interferito nel sistema elettorale automatizzato per contrastare «l’influenza cubana», e canta vittoria preannunciando le misure neoliberiste modello Fmi.
Quali scenari si aprono dopo il 5 gennaio, quando s’installerà il nuovo parlamento gestito dalle destre? Se ne discute sui giornali e nelle strade. I cittadini conoscono a menadito la loro costituzione, approvata nel ’99 dopo un’Assemblea costituente e poi sottoposta a referendum. Le destre allora hanno votato contro, ma ora fanno appello ai propri costituzionalisti per disconoscere soprattutto l’autorità del Tribunal supremo de Justicia (Tsj), ago della bilancia a cui Maduro potrà ricorrere contro le leggi proposte dal nuovo parlamento.
Ma l’obiettivo principale resta proprio il presidente. La legge prevede che, a metà mandato, è possibile convocare un referendum revocatorio. I settori oltranzisti spingono per una spallata il più in fretta possibile: l’appello viene dal carcere, dove si trova il leader di Voluntad Popular, Leopoldo Lopez, condannato per le violenze dell’anno scorso (43 morti e oltre 800 feriti) durante la campagna «la salida» (la cacciata di Maduro dal governo).
In uno scenario di crisi economica che dovrebbe farsi più acuta nel 2016, le destre intendono ricorrere ai piani di aggiustamento strutturale: gli stessi che, nel 1989 hanno portato alla rivolta del Caracazo. Per disinnescare le misure sociali e tornare al passato, usano il bastone e la carota, camuffando nell’ambiguità del messaggio le leggi in arrivo. In campagna elettorale un deputato è arrivato a proporre una «legge contro la coda». Come se le code chilometriche provocate dalle grandi imprese private che non inviavano i prodotti e dall’accaparramento organizzato, si potessero stroncare «per decreto».
«La gente ha votato contro le code che purtroppo non siamo riusciti a risolvere», ha detto il deputato chavista Ernesto Villegas. Poi, ha proposto che alla R della rifondazione in corso venga tolta quella di «regalo», eliminando così la cifra di assistenzialismo che ha portato a privilegiare l’erogazione di benefici non accompagnata da un adeguato lavoro di educazione politica. Tanto che, proprio da alcuni settori popolari che più hanno usufruito dei piani sociali, è arrivato il voto castigo.
Ma un altro fronte assai complicato per la «rivoluzione bolivariana» è costituito dalle alleanze internazionali. Dall’Argentina, l’imprenditore Macri preme per un cambio di paradigma nel Mercosur. Le alleanze solidali che il Venezuela guida insieme a Cuba rischiano di scomparire. A rischio certo è Petrocaribe, l’organismo regionale attraverso il quale il Venezuela dispensa petrolio a basso costo in cambio di beni e servizi. In Paraguay è in corso il vertice del Mercosur. In gioco c’è la firma dell’accordo di libero commercio con l’Unione europea, che ha finora visto contrari solo il Venezuela di Maduro e la Bolivia di Evo Morales. La presidenza pro-tempore del Paraguay, ora passata all’Uruguay, aveva già promesso l’accordo alla Ue.
Dati gli impegni nel suo paese, Maduro non sarà presente. Lo sostituisce la ministra degli Esteri, Delcy Rodriguez, che ha proposto la formazione di una zona economica complementare con i paesi dell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba), la Comunità del Caribe (Caricom) e il gruppo dei Brics, composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.