Ogni giorno che passa appare sempre più remota la possibilità di una soluzione negoziata della crisi venezuelana.

La proposta di dialogo senza condizioni previe (il cosiddetto «Meccanismo di Montevideo») avanzata da Messico e Uruguay e guardata con favore da molti altri paesi conta sul convinto sostegno di Maduro, ma si scontra con il rifiuto di Guaidó. Mentre quella del Gruppo di contatto creato dalla Ue, che di condizioni ne pone due – convocazione di nuove elezioni presidenziali e ingresso nel paese degli aiuti umanitari -, non è stata accolta dal leader di estrema destra – che le elezioni le esige, ma senza negoziati – ed è per di più ritenuta inaccettabile dal presidente bolivariano.

IN UN’INTERVISTA CONCESSA ieri alla Bbc, Maduro ha ribdatio il suo «no» tanto a nuove presidenziali quanto alla cosiddetta assistenza umanitaria.

Denunciando la «guerra politica» scatenata dell’impero americano, dal «Ku Klux Klan che oggi governa la Casa bianca», e accusando Trump di sostenere «le correnti fasciste, neonaziste, negli Usa, in Europa e in America Latina», Maduro ha rivendicato la piena legittimità delle elezioni del 20 maggio, sottolineando la possibilità per l’opposizione di attivare – ma solo a metà mandato, cioè nel 2022, come previsto dalla Costituzione – il referendum di revoca del mandato presidenziale.

Nettissimo anche il rifiuto degli aiuti «umanitari»: si tratta, ha spiegato, di «uno show allestito dal governo Usa con la complicità del governo colombiano per umiliare i venezuelani» e, soprattutto, del tentativo di «creare una crisi umanitaria per giustificare un intervento militare». E a smascherare ogni ipocrisia «umanitaria», Maduro ha ricordato come, da parte del governo Trump, siano stati «sequestrati 10 miliardi di dollari di conti bancari, più altri miliardi in oro da Londra: denaro con cui avremmo comprato alimenti, medicine e attrezzature». Cosicché, «se vogliono aiutare il Venezuela, che sblocchino le nostre risorse».
Che si tratti di pura propaganda ne è convinto anche il capo delegazione della Croce Rossa in Colombia, Christoph Harnisch, il quale ha ribadito il rifiuto dell’organismo di prendere parte all’operazione:

«NON PARTECIPIAMO a ciò che per noi non è un aiuto umanitario», ha spiegato, ponendo l’accento sull’assenza di «indipendenza, imparzialità e neutralità». Gli stessi principi che le stesse Nazioni unite considerano imprescindibili per ogni azione di aiuto internazionale che possa definirsi umanitaria, escludendo qualsiasi intervento caratterizzato da obiettivi politici, economici o militari, come è senza ombra di dubbio quello promosso dagli Usa.

QUANTO AI «VERI» AIUTI, il ministro degli Esteri Jorge Arreaza ha sostenuto lunedì una riunione con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, allo scopo di «rafforzare i programmi di cooperazione in materia di salute, alimentazione ed educazione, in risposta alle necessità del popolo venezuelano». E mentre ieri sono nuovamente scesi in strada sia il popolo chavista che l’opposizione – quest’ultima per convincere i militari a consentire l’ingresso degli aiuti nel paese – in tanti, a circa tre settimane dall’autoproclamazione di Guaidó a presidente ad interim, si interrogano sul possibile sbocco dell’attuale crisi.

SE LA VIA DEL DIALOGO appare sempre più in salita, anche rispetto alla Forza armata bolivariana (Fanb) non si registrano significativi segnali di discontinuità. Alle sfacciate lusinghe del senatore statunitense Marco Rubio, che ha assicurato ai vertici militari totale immunità in caso di riconoscimento della legittimità di Guaidó, il ministro della Difesa Vladimir Padrino López ha infatti risposto picche, ribadendo l’assoluta lealtà della Fanb nella difesa della «dignità della patria». Restano dunque solo incertezze, come ha evidenziato su Twitter l’economista e presidente dell’istituto Datanálisis Luis Vicente León, chiedendosi se lo strangolamento economico attraverso le sanzioni internazionali provocherà la caduta di Maduro o solo «un inasprimento della crisi senza cambiamento di governo», non senza sottolineare come la «strategia del collasso» risulterà costosa non solo per il paese ma anche per l’opposizione.