Le tanto attese, temute e discusse elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale in Venezuela, per la legislatura 2021-2026, hanno finalmente una data: il 6 dicembre prossimo.

A darne l’annuncio è stata Indira Alfonzo, presidente del nuovo Consiglio nazionale elettorale nominato il 12 giugno, specificando che i partiti potranno iscriversi dal 13 al 26 luglio – 89 le organizzazioni politiche attese all’appuntamento – e che le candidature dovranno essere definite dal 10 al 19 agosto. In preparazione della giornata elettorale, è stata inoltre fissata per l’11 ottobre una simulazione del voto, considerata necessaria per verificare l’affidabilità del sistema di voto elettronico, comunque sottoposta a successive revisioni, mentre la campagna elettorale propriamente detta si svolgerà dal 21 novembre al 5 dicembre.

Di una «farsa» ha parlato il leader dell’opposizione radicale Juan Guaidó, assicurando che «i venezuelani non la riconosceranno, così come non lo hanno fatto» in occasione delle presidenziali, quando i maggiori partiti dell’opposizione disertarono le elezioni per la presunta mancanza di garanzie. Ma l’opposizione è al riguardo tutt’altro che compatta. Tant’è che persino il deputato Stalin González, un fedelissimo dell’autoproclamato, ha invitato a riprendere i negoziati con il governo prima dello svolgimento delle parlamentari, evidenziando come «la rotta tracciata» da Guaidó non convinca più tutti: «Settori che che un anno fa appoggiavano incondizionatamente la sua proposta oggi dicono che bisogna discuterla».

Le pressioni sull’opposizione da parte di Usa e Ue a favore dell’astensione elettorale sono tuttavia fortissime. E lo indica bene la crisi diplomatica tra l’Unione e il governo Maduro scatenata dalla decisione del Consiglio della Ue, il 29 giugno, di imporre sanzioni ad altri 11 funzionari venezuelani, tra cui esponenti dell’opposizione moderata disposti a partecipare al processo elettorale, denunciandone «atti e decisioni che compromettono la democrazia e lo Stato di diritto in Venezuela». Una decisione a cui il governo ha reagito con l’espulsione dal paese del capo delegazione della Ue Isabel Brilhante Pedrosa, a cui a sua volta è seguita la «ferma condanna» da parte dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, il quale, annunciando l’adozione delle «necessarie misure di reciprocità», ha avuto il coraggio di «deplorare profondamente l’ulteriore isolamento internazionale» che deriverà dalla decisione di Maduro.

Non che Usa e Ue confidino minimamente in Guaidó, il cui esperimento politico è fallito miseramente. Ma per quanto ridotto sempre più a una dimensione virtuale, senza più folle al seguito, assediato da accuse di malversazione e scandali vari, l’autoproclamato, come evidenzia il sociologo Marco Teruggi, gioca ancora un ruolo insostituibile per legittimare la spoliazione del Venezuela da parte di governi e imprese.

Lo dimostra alla perfezione il caso paradossale del sequestro dell’oro venezuelano depositato nella Banca d’Inghilterra – 31 lingotti del valore di un miliardo di dollari – che il «governo di Sua Maestà» si è rifiutato di restituire, proprio con la scusa del riconoscimento «inequivocabile» di Guaidó come presidente ad interim del Venezuela.

Sarà l’autoproclamato, quindi, a gestire l’enorme quantità d’oro, secondo quanto ha disposto ieri l’Alta corte britannica, respingendo la richiesta del governo di Caracas di trasferire l’ingente somma al Programma Onu per lo sviluppo (Pnud) per far fronte all’emergenza da Covid-19. Un verdetto sconcertante, considerando come il governo britannico mantenga regolari relazioni diplomatiche con Caracas, secondo quanto ha evidenziato l’avvocato Sarosh Zaiwalla annunciando ricorso.