Nel Ground Zero del centrosinistra veneto che minaccioso incombe sul voto di oggi e domani, l’unico raggio di sole arriva dalla Laguna, dove la piccola armata di Pier Paolo Baretta (ex peso massimo della Cisl, ora sottosegretario all’Economia del Pd) potrebbe compiere l’impresa di trascinare al ballottaggio il sindaco uscente Luigi Brugnaro, già civico, ora candidato di un centrodestra a trazione Salvini-Meloni.

Baretta, che è di Venezia ma vive da anni a Roma, è stato chiamato prima del lockdown al capezzale di una sinistra a rischio sparizione anche nella Serenissima, e si è dato un gran da fare. Ha preso in affitto una casa a Mestre («per non rompere le scatole a mio figlio che vive qui») e girato così tanto che i veneziani ora lo riconoscono sugli autobus, ha ridato vita a una coalizione larga che va da Rifondazione a Renzi-Calenda e ha tirato fuori alcune idee per una città piegata dalla crisi Covid, come ripopolare il centro, trovare alternative al turismo di massa «che ha affaticato la città», «lasciare le grandi navi da crociera fuori dalla Laguna e riconvertire in chiave green l’area di Marghera. Una «idea di città» che ha fatto uscire il centrosinistra dalla depressione e, spiega Baretta, «ha messo in moto la voglia di esserci, di fare qualcosa insieme».

Se Brugnaro, imprenditore di successo, patron della squadra di basket, decisionista e accentratore, dovesse andare al ballottaggio «si aprirebbe una partita nuova e dagli esiti imprevedibili». Su Baretta potrebbero coinvolgere i voti della grillina Sara Visman, e quelli del filosofo Stefano Zecchi, candidato del Partito dei veneti e spina nel fianco di Brugnaro. I dati delle europee 2019 a Venezia città danno un centrodestra attorno al 50%, dunque la sfida resta molto in salita. Anche perché Luca Zaia potrebbe fare da traino anche in Laguna, visto che si vota insieme alle regionali.

E quelle sono una partita chiusa. Basti pensare che il magrissimo 22,7% della candidata Pd del 2015 Alessandra Moretti (col Pd al 16%) ora viene visto come un miraggio. Il candidato dem è l’ingegnere Arturo Lorenzoni, protagonista 3 anni fa di una bella vittoria del centrosinistra a Padova contro Massimo Bitonci, che si è dimesso da vicesindaco prima di sfidare Zaia. Un gesto nobile, visto che la sua è una missione impossibile. Ma a piegare la sua già ripidissima campagna ci ha pensato il Covid, contratto qualche settimana fa in forma abbastanza severa: Lorenzoni è stato dimesso dall’ospedale di Padova a inizio settimana, ma è ancora in isolamento. Ed è persino svenuto durante una iniziativa in diretta con il ministro Francesco Boccia.

Con lui si sono schierati i bersaniani di Articolo 1, Sinistra Italiana, i Verdi e +Europa. Peccato che Renzi abbia candidato in proprio la senatrice Daniela Sbrollini, il M5S l’ex parlamentare Enrico Cappelletti e anche Rifondazione è andata da sola con Paolo Benvegnù. Una diaspora totale delle forze anti-Zaia, l’esatto contrario di quanto fatto a Venezia. Con una ciliegina al fiele: alcuni candidati Pd (Stefano Artuso e i sostenitori di Chiara Luisetto) hanno chiesto il voto disgiunto, cioè a loro stessi e a Zaia presidente. Una cosa mai vista, meno che mai nei confronti di un leghista. Tanto da far insorgere il segretario regionale Pd Alessandro Bisato che ha parlato di un gesto «intollerabile», è stato costretto a minacciare espulsioni e a ricordare che «il progetto del Pd in Veneto è di segno opposto rispetto a quello della Lega». Caspita.

Per il governatore in carica dal 2010, soprannominato non senza enfasi il Doge, ancor più forte dopo la gestione del Covid, piove sul bagnato, tanto che per lui la gara è ormai solo con numeri e percentuali. Riuscirà a battere il record assoluto del dem Vito De Filippo, che alle regionali in Basilicata del 2005 vinse col 67%? E di quanto la sua lista civica supererà la Lega di Salvini?

Questo derby appassiona molto gli addetti ai lavori, in realtà il sorpasso c’è già stato nel 2015 (23% per Zaia, 17% per la Lega), questa volta sarà probabilmente superiore ma questo non implica una sfida prossima ventura di Zaia alla leadership di Salvini. L’uscente dice che dopo la fine del terzo mandato si comprerà «un nuovo cavallo». «Non ho altre ambizioni».

Le Monde l’ha già incoronato prima del voto, definendolo «il nuovo campione della Lega» e ricordando che «non condivide la linea estremista e anti-europea» di Salvini. Infatti anche a sinistra Zaia viene definito «il perfetto erede della Dc veneta».
A via Bellerio però temono che il successo sia eccessivo, tanto che il commissario del partito in Veneto, l’ex ministro Lorenzo Fontana, ha militarizzato le sezioni: «Si fa campagna solo per la lista Lega».