Un intervento da equilibrista che però sembra tanto un via libera alla vendita dell’Agenzia di stampa Agi che, se si concretizzasse, dopo 60 anni passerebbe dall’Eni, azienda partecipata del Mef, ad Antonio Angelucci, imprenditore della sanità, editore di una serie di giornali vicini alla maggioranza di governo e, non ultimo, deputato della Lega. Lo stesso partito del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti chiamato ieri alla Camera da Pd e Avs a rispondere della vendita della seconda agenzia di stampa del paese. Giorgetti sa bene di muoversi su un terreno scivoloso e forse anche per questo non impiega più di una manciata di minuti per rispondere alle domande delle opposizioni che denunciano i rischi derivanti da un conflitto di interessi subito liquidato come «non attuale». E poi: «Il Mef – spiega – ha appreso da fonti di stampa la notizia (della vendita, ndr) e non è deputato a rispondere», perché «sebbene abbia partecipazione diretta e indiretta nel capitale Eni pari complessivamente a circa il 30%, a tale partecipazione non corrisponde alcun potere in merito a decisioni di natura gestionale». Per di più, aggiunge, «è questione di per sé delicata che una società partecipata dallo Stato possegga un’Agenzia di stampa, poiché questo potrebbe alimentare dubbi sulla effettiva libertà di informazione della stessa».

Parole quest’ultime che hanno il sapore della benedizione al passaggio di proprietà che preoccupa i giornalisti dell’Agi, una rappresentanza dei quali ieri era presente nell’aula di Montecitorio, e sui quali pende anche l’incognita di possibili tagli occupazionali. Tanto da averli spinti martedì a proclamare altri due giorni di sciopero. Ha spiegato il Cdr: «La battaglia contro la vendita al gruppo Angelucci dell’Agi, testata che per sua natura è oggi imparziale e autonoma da condizionamenti politici, è una battaglia per la stabilità occupazionale dei giornalisti e dei poligrafici; ma ancor di più è una battaglia a difesa del ruolo di informazione primaria delle agenzie di stampa che hanno nel loro dna indipendenza e pluralismo».

Sebbene di ufficiale non ci sa ancora nulla, nei giorni scorsi è stata la stessa Eni ad ammettere l’esistenza di una «manifestazione di interesse» in corso di valutazione. Se le voci circolate saranno confermate, Angelucci avrebbe fatto un’offerta di 30 milioni di euro, da compensare in parte con il proseguimento di una piano di prepensionamenti già avviato dall’Eni. Ieri mattina il Cdr ha incontrato il sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’Editoria Alberto Barachini ricevendo in parte rassicurazioni per quanto riguarda possibili tagli all’organico. Il sottosegretario ha infatti ricordato che la riforma delle agenzie di stampa recentemente approvata offre stabilità finanziaria triennale e, per la prima volta, commisura in maniera diretta il contributo pubblico al numero dei giornalisti assunti a tempo indeterminato. Ai colleghi dell’Agi è arrivata la solidarietà anche dell’Associazione stampa romana e della Federazione della stampa.

Da parte loro Pd e Avs si sono detti tutt’altro che soddisfatti delle risposta date dal titolare dell’Economia. La capogruppo di Avs alla camera Luana Zanella definisce «pilatesco» l’intervento di Giorgetti, mentre il dem Peppe Provenzano ricorda come sia «responsabilità del ministro dell’Economia non permettere che una grande azienda partecipata come l’Eni si riduca a fare favori alla maggioranza attuale e al governo in carica». Per il responsabile informazione del Pd Guido Ruotolo, infine, «il ministro ha confermato in aula la vendita dell’Agi. E lo ha fatto nel modo peggiore: da un lato di è lavato le mani di “proprie responsabilità”, dall’altro ha utilizzato lo stratagemma della gravità che “una partecipata dello Stato abbia un’agenzia di stampa” per benedire l’operazione già benedetta da palazzo Chigi. Noi – ha concluso Ruotolo – abbiamo bisogno che la seconda agenzia di stampa italiana resti indipendente».