Velocità, prestigio e vento nei capelli. Una sensazione unica di libertà che sconfina nell’illusione di una fuga, anche solo momentanea, ben sapendo che quelle quattro ruote rimarranno sempre saldamente incollate a una strada. Il fascino della spider resiste da più di un secolo. Ha fatto sognare intere generazioni, ha superato momenti difficili ed è ritornato con forza in cima ai desideri degli appassionati. Guidare senza il tetto, con l’aria sulla faccia, resta un’emozione diversa. Da tutte le altre. Cinema e televisione hanno scandito l’evoluzione di cabriolet, roadster e speedster fino a farle diventare fenomeni di costume e testimoni di un’epoca. Le vetture scoperte, ‘esplose’ negli anni Cinquanta e Sessanta, sono ormai uno status symbol, un tassello decisivo per affermare il proprio ruolo nella società. Per chi le ama davvero, però, rappresentano solo e semplicemente un sogno. La spider esiste da sempre, prima ancora del motore a scoppio. Era una carrozza leggera e scoperta, con una struttura che ricordava la forma di un ragno (in inglese, appunto, spider). Veloce, due posti ‘secchi’ e bagagliaio ridotto. Sono queste le caratteristiche rimaste intatte anche quando i cavalli hanno lasciato il posto a cilindri e pistoni. All’inizio del Novecento la maggior parte dei modelli costruiti dalle case automobilistiche era senza tettuccio. Una scelta dettata da questioni pratiche, legate a peso e potenza.

Per arrivare alle prime sportive di serie bisogna però aspettare gli anni Venti quando cominciano a comparire le GranTurismo, in grado di abbinare alte prestazioni a una buona affidabilità. Con l’avvento delle corse e della Millemiglia, le spider diventano oggetti di culto, destinate a pochi fortunati che possono sfoggiarle nelle località alla moda. In Italia l’Alfa Romeo 6C 1500 Super Sport scalza il mito delle inglesi, seguita qualche anno più tardi dall’elegantissima Flyng Star. Carrozzieri e progettisti iniziano a ritagliarsi un ruolo sempre più importante, e quando Fiat realizza la Topolino, l’auto più piccola del mondo, Bertone riesce a trasformarla nell’Amica, una cabrio elegante e sinuosa. Ma ancora molto costosa. È agli inizi degli anni Cinquanta che il mito della spider si consolida. Dopo la seconda guerra mondiale le aziende automobilistiche ricostruiscono gli stabilimenti e l’auto comincia a essere un traguardo raggiungibile anche dalle classi meno abbienti. A costo di duri sacrifici, però. Lo stipendio medio di un operaio si aggira attorno alle 40 mila lire al mese e la terza serie della Topolino costa ancora 625 mila lire. Per contro, accanto alle prime utilitarie, le vetture di lusso e sportive si avviano verso una distribuzione più ampia. Nel 1954 viene presentata la Lancia Aurelia B24, la macchina che più di tutte documenterà il periodo della rinascita economica, fotografando l’ascesa sociale della piccola borghesia.

Qualche anno dopo, accanto a Vittorio Gassman e Jean Louis Trentignant, proprio la B24 Spider sarà la protagonista del film Il Sorpasso, diventando il sogno irrealizzabile di tanti spettatori, stregati dall’allegria contagiosa e cialtronesca del protagonista Bruno Cortona. Per emulare i divi del grande schermo al volante della decapottabile di casa Lancia, però, bisogna spendere 2 milioni 822 mila lire. Nel 1956 la prima rivoluzione del prezzo arriva con la Giuletta Spider che, nella versione normale, abbassa l’asticella appena sotto i 2 milioni e sfonda anche sul mercato americano. È ancora Gassman a guidarla nel film La ragazza del palio, conquistando la platinata Diana Dors e facendo morire di invidia milioni di italiani. Con il boom degli anni Sessanta cambia radicalmente il modo di intendere l’auto. Si costruiscono strade e autostrade, le distanze si accorciano e non ci si sposta solo per necessità, ma anche per piacere. Debuttano sul mercato le prime cabrio economiche e la Fiat 1200 spider vende in un anno quasi 2800 esemplari al costo di poco meno di 1 milione 400 mila lire. Per sognare una gita fuori porta senza tettuccio, l’operaio medio deve, però, accontentarsi della Bianchina Special Cabriolet (674 mila lire nel 1962), dopo aver messo da parte più o meno una decina di mensilità. Le decapottabili italiane, forgiate dal genio dei carrozzieri, sono le più richieste.

Quelle straniere, sempre più protagoniste nei film dell’epoca, ancora più costose. Per custodire in garage la Sumbeam Alpine Sport, resa celebre da Grace Kelly e Cary Grant in Caccia al Ladro, servono 1 milione e 800 mila lire, e nel 1962, in Italia, ne vengono venduti ‘solo’ 50 e ormai introvabili esemplari. Inarrivabile l’Aston Martin Db4, l’antenata di quella guidata da Sean Connery – James Bond che costa addirittura di 6 milioni e mezzo di lire. Ormai il mercato delle scoperte è in continua evoluzione e la Fiat mette in campo modelli per tutte le tasche. Dalla lussuosa Dino con meccanica Ferrari (3 milioni e mezzo di lire) si passa alla 124 spider, una macchina destinata al ceto medio (1 milione 700 mila lire il prezzo di lancio) che resterà in produzione fino agli inizi degli anni Ottanta. Nei film e nei primi ‘musicarelli’ la guidano David Niven, Alberto Sordi e poi ancora Gianni Morandi. Ma è la versione spider della 850 a fare da spartiacque di un’epoca. Costa poco più un milione ed è una vera sportiva che in molti possono permettersi, a patto di sacrificare il sedile posteriore. Si possono scegliere volante in radica, un’ampia gamma di colori e un motore che sfiora i 150 km orari. In sette anni ne vengono costruiti 146 mila esemplari e alla classe operaia sembra davvero di andare in paradiso.

La spider, nell’immaginario popolare diventa sempre più un simbolo di conquista, l’ultimo gradino di una sorta di lotta di classe. Se l’auto è l’unità di misura del posizionamento sociale, la decapottabile a basso costo è l’occasione giusta per il riscatto. E poco importa se la si lucida alla fontanella in piazza, magari con un tubo di gomma, per non pagare l’autolavaggio. Quando si viaggia senza tettuccio si può volare con la fantasia e addirittura fingere di essere qualcun altro. Ma la spider è anche la macchina della fuga e della rincorsa disperata di Dustin Hoffman sul set de Il Laureato. Ancora una volta è il grande schermo a rendere immortale il mito di una delle decapottabili più famose della storia. L’Alfa Romeo Duetto (anche se il nome, scelto con un concorso popolare, non verrà utilizzato ufficialmente) diventa l’emblema di chi non vuole rispettare regole e convenzioni. Lanciata nel 1966 (2 milioni 300 mila lire), finì fuori listino dopo 28 anni e 124 mila vetture prodotte e vendute in tutto il mondo. Negli ultimi anni la classica scoperta a due posti è tornata a essere un prodotto di nicchia, ma il suo appeal non è mai tramontato. E se negli anni Novanta i più giovani sognavano l’Eclipse di Fast and Furious e poi mettevano da parte i soldi per una Barchetta, adesso il mercato vintage è in piena ripresa. I collezionisti spendono milioni di euro per una Jaguar guidata da Steve McQueen, ma ne bastano meno di 10 mila per assicurarsi una splendida 850, uguale a quella di Anna Magnani nel film L’automobile. E la passione sconfinata per quello sgargiante spiderino giallo sta tutta nella confessione che Annarella fa all’amico del cuore: «Che te devo dì, io… in macchina… mi sento più bella».