Durante la campagna elettorale 2016, l’eccessivo costo dei farmaci a carico degli americani era stato uno dei temi più discussi. Sia Trump che Clinton avevano promesso misure per porre un limite alla spesa e proprio le società farmaceutiche erano state il bersaglio di Trump nella prima conferenza stampa dopo il suo insediamento. Le aveva accusate di averla fatta franca nonostante le loro responsabilità nell’aumento dei prezzi dei farmaci. Invece, secondo due inchieste del «New York Times» e del «Kaiser Health News», Trump sta per emanare un decreto presidenziale molto favorevole alle aziende. Se le indiscrezioni fossero confermate, le conseguenze del decreto andranno nella direzione opposta a quella annunciata, provocando aumenti ulteriori dei prezzi delle medicine.

LE INCHIESTE sono riuscite a visionare documenti secondo i quali dal mese di maggio una task force composta da Casa Bianca, governo e agenzie sanitarie sta lavorando a questo scopo con riunioni quindicinali. Il gruppo è diretto da Joe Grogan, vice-direttore dei programmi sanitari all’Office of Management and Budget (una sorta di consiglio economico al servizio del presidente). Fino allo scorso marzo, Grogan lavorava come lobbista e difendeva presso le istituzioni statunitensi gli interessi della Gilead, la casa farmaceutica nota soprattutto per i prezzi esorbitanti dei suoi farmaci anti-epatite C imposti in tutto il mondo, Italia compresa.

I punti principali della bozza riguardano il prolungamento della durata dei brevetti farmaceutici nei mercati esteri, la semplificazione del processo di autorizzazione delle medicine, la riduzione del programma «340B» che fornisce farmaci a prezzi scontati agli ospedali che curano pazienti con basso reddito. Un’altra proposta contenuta nel documento, e a cui ha collaborato un altro influente lobbista pro-farmaceutiche, Robert Shapiro, suggerisce di stabilire il prezzo dei farmaci sulla base del loro effetto sulla salute del paziente. Dopo la pubblicazione delle indiscrezioni, il prezzo delle azioni delle società farmaceutiche ha fatto un balzo verso l’alto, togliendo ogni dubbio su chi si avvantaggerà davvero dei provvedimenti.

PER RIDURRE IL PREZZO dei farmaci sarebbe stato necessario dare al governo la responsabilità di negoziare il prezzo dei farmaci, come avviene nella maggior parte dei Paesi con un sistema sanitario pubblico e come avevano proposto Clinton e Sanders. Invece, negli Usa le società farmaceutiche prendono accordi con ciascuna delle centinaia di assicurazioni pubbliche e private che forniscono assistenza sanitaria agli americani. Di fronte a tanti acquirenti di piccole dimensioni, il potere contrattuale delle società è molto maggiore.

Il decreto, che non menziona la questione, va invece nella direzione opposta. È «come un pompiere che getta benzina sul vostro garage che brucia», ha detto efficacemente Vinay Prasad, che studia il costo dei farmaci all’Università dell’Oregon. Per esempio, allungare i brevetti oltre i vent’anni attuali permette di prolungare il periodo in cui i farmaci sono venduti in regime di monopolio, dunque a prezzi maggiorati.

LA BOZZA cade in un momento assai delicato per il sistema sanitario statunitense. In Senato è stata appena presentata la nuova riforma sanitaria, che dovrebbe sostituire quella introdotta da Obama. Anche la Food and Drug Administration (FDA), l’autorità che regola l’autorizzazione dei nuovi farmaci, si sta muovendo. Il direttore della FDA Scott Gottlieb, che nel tempo libero è consigliere di amministrazione di ben quattro compagnie farmaceutiche, ha annunciato provvedimenti volti a facilitare l’ingresso sul mercato dei farmaci generici, cioè dei principi attivi che, scaduto il brevetto, possono essere commercializzati da tutte le società farmaceutiche a prezzi concorrenziali. Ma si tratta di un palliativo, in quanto secondo un recente rapporto della società di consulenza QuintileIMS l’aumento della spesa farmaceutica Usa (310 miliardi di dollari nel 2015, circa mille dollari per ogni americano, il doppio rispetto all’Italia) è causata per due terzi dai farmaci brevettati.

LE MISURE contro l’aumento dei prezzi dei farmaci erano stati uno dei temi più popolari durante la campagna elettorale presidenziale, soprattutto dopo gli scandali che avevano attirato l’attenzione dell’opinione pubblica. Proprio in questi giorni inizia il processo-show contro Martin Shkreli, l’enfant prodige di Wall Street che, prima di essere arrestato per truffa, nel 2015 si era fatto notare per aver aumentato di cinquanta volte il prezzo di un farmaco molto utilizzato dai malati di Aids, il Daraprim, sfruttando cavilli legali per sfuggire alla concorrenza.

Il caso Shkreli («l’uomo più odiato di Internet») aveva sollevato il velo su una pratica diffusa, fino a coinvolgere l’intero settore farmaceutico. I candidati erano stati costretti a prendere posizione contro queste pratiche, nonostante sia a destra che a sinistra i rapporti con l’industria farmaceutica siano ottimi: è il settore che spende di più per l’attività di lobby a Washington, con oltre tre miliardi di dollari l’anno. La lotta contro «Big Pharma» era forse il punto più qualificante della campagna di Sanders, all’ala sinistra del partito democratico.

Permangono molti dubbi sulla fattibilità del piano proposto da Trump. La proposta di legare il prezzo dei farmaci alla loro utilità, ad esempio, presuppone criteri condivisi per valutare gli effetti delle medicine anche in termini economici, tema tutt’altro che scontato.

INOLTRE, il prolungamento della durata dei brevetti al di fuori degli Stati Uniti non è certo realizzabile per decreto. Le leggi sui brevetti sono materia nazionale, dunque Trump potrebbe raggiungere l’obiettivo solo attraverso negoziati con altri governi. Su questo terreno, le norme sono ferme al trattato firmato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio a Marrakesh nel 1994. Allora, la durata dei brevetti a livello mondiale era stata fissata a 20 anni. Ma prima che una medicina brevettata entri in commercio, è necessario superare una lunga trafila di controlli e autorizzazioni che può durare oltre un decennio. Proprio per questo, la durata dei brevetti farmaceutici può essere già prolungata di cinque anni. Nel frattempo, paesi come l’India insidiano il business tradizionale, proponendosi come «farmacia del mondo» per i paesi in via di sviluppo grazie a qualche concessione del Wto.

Le rivelazioni sul decreto presidenziale segnalano dunque che le società farmaceutiche stanno tornando alla carica, confidando nell’amministrazione amica, per riguadagnare terreno. Se il loro progetto riuscirà, a farne le spese saranno i pazienti di altri Paesi, cioè noi.

D’ALTRONDE, l’appoggio degli imprenditori è l’unica polizza assicurativa che permette a Trump di sopravvivere agli scandali. Secondo molti analisti, il partito repubblicano finora non lo ha abbandonato perché la sua presidenza permetterà accordi favorevoli all’industria in ogni settore, dal clima alla sanità, facendo la fortuna dei lobbysti e dei loro interlocutori istituzionali (che sono soprattutto repubblicani). Trump si comporta da statalista o da liberista secondo le convenienze del momento, senza preoccuparsi di dare alla propria amministrazione un carattere ideologico marcato o di mantenere le promesse. Un altro presidente, anche tra le fila repubblicane, potrebbe non essere così docile.