La cornice è quella di una veglia di preghiera all’interno di una giornata di digiuno per la pace. Ma quello di questa sera a piazza San Pietro è anche il primo importante atto politico di papa Bergoglio: un no deciso all’intervento militare in Siria. È scontato che un papa parli contro la guerra. Forse. Tuttavia non sempre è stato così dal momento che, anche in tempi recenti, alcune «missioni di pace» sono state quasi giustificate dal Vaticano e in altre occasioni si è preferito mantenere un profilo basso. Stavolta invece da Oltretevere sono arrivate parole chiare e forti, e papa Francesco – grazie anche ad una indubbia presenza e strategia mediatica – ha ricollocato la Santa Sede al centro della scena politica internazionale, come era ai tempi di Wojtyla.

La veglia di preghiera assume il valore di una manifestazione contro la guerra. Non arriva come gesto isolato, ma preceduto da un fitto lavoro di contatti diplomatici: la lettera di Bergoglio a Putin alla vigilia del G20 per chiedere ai «grandi» di «abbandonare ogni vana pretesa di una soluzione militare»; l’incontro, giovedì, con 71 ambasciatori presso la Santa sede durante il quale il «ministro degli esteri» vaticano, monsignor Mamberti, ha reso noto il «piano» di Oltretevere per la Siria («ripristino del dialogo fra le parti»; conservazione «dell’unità del Paese, e «integrità territoriale»); e una serie di incontri bilaterali dei nunzi apostolici, soprattutto quelli mediorientali. La diplomazia vaticana rimarrà al lavoro anche nei prossimi giorni, così come papa Francesco – che ieri si è fatto vivo con altri tweet sull’account @Pontifex che ha raggiunto i 9 milioni di follower: «La pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l’umanità», «Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà» – pronuncerà altri appelli contro la guerra, già dall’Angelus di domani.

La veglia di questa sera a San Pietro sarà affollata: le parrocchie – soprattutto quelle romane –, gli scout, i movimenti e i gruppi sono mobilitati per riempire la piazza. Aumentano le adesioni, anche quelle internazionali, alcune «pesanti», come quella del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, che ha anche rivolto un appello ai Paesi del G20 per «una soluzione negoziale e non militare del conflitto in Siria». Aderisce anche monsignor Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, in Iraq, che ammonisce: «In Iraq, dopo l’invasione degli americani, ci sono problemi di sicurezza, di lavoro, di corruzione, tutto viene creato in maniera «confessionale». Dove sono la democrazia e la libertà?».

Oltre a quella di San Pietro, veglie e manifestazioni pacifiste – queste ultime organizzate da gruppi e movimenti laici – si svolgeranno in numerose città: all’Arsenale della pace di Torino insieme al vescovo, a Vicenza con il coordinamento dei cristiani per la pace (l’ala cattolica del movimento No Dal Molin), a Novara con il coordinatore di Pax Christi don Renato Sacco, in prima linea contro i cacciabombardieri F35 che proprio lì – a Cameri – verranno assemblati, in altre diocesi. Sul fronte laico, la Tavola della pace andrà ad Assisi ed invita tutti ad esporre la bandiera della pace ai balconi; i Radicali iniziano uno sciopero della fame di tre giorni dentro e fuori le carceri italiane, contro la guerra e la «violenza di Stato».

Qualche voce critica, di segno opposto. Il prete genovese don Paolo Farinella condivide l’appello alla pace del papa ma non la piega che ha preso il digiuno a cui aderiranno il «ministro della guerra» Mario Mauro, Formigoni «non nuovo ai rapporti con i dittatori» e molti altri «che non dovrebbero nemmeno farsi vedere, se avessero un minimo di coscienza e di dignità». «Più che un digiuno per la pace mi pare un coffee break dalle larghe intese con delinquenti, guerrafondai e immorali in passerella».
I lefebrviani della Fraternità San Pio X criticano Bergoglio perché pregherà «insieme ai rappresentanti di altre religioni», contribuendo a «diffondere il relativismo religioso».