«Dobbiamo abbandonare l’idea che i satelliti servano solamente per il controllo. Oggi i dati satellitari possono e devono sempre più servire alla prevenzione dei problemi ambientali, degli eventi estremi o delle tragedie dell’immigrazione, per creare nuovi servizi e posti di lavoro». Andrea Taramelli, professore allo Iuss di Pavia dove insegna Missioni Spaziali per l’osservazione della Terra, è il coordinatore nazionale del Copernicus User Forum, gruppo di lavoro interministeriale creato nel 2014 con l’obiettivo di stimolare l’uso di nuovi servizi attingendo all’enorme mole di dati che il sistema satellitare europeo Copernicus mette ogni giorno a disposizione. Siamo nell’ordine di decine di Terabytes scaricati ogni 24 ore. Lo abbiamo incontrato durante il Forum Internazionale sulla New Space Economy che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma, organizzato da Fondazione Amaldi e Fiera Roma con il patrocinio dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Negli ultimi 20 anni l’Ue ha investito nello sviluppo tecnologico del Programma satellitare Copernicus. Cosa ci dicono tutti questi occhi puntati sulla terra?

Il sistema Copernicus ci invia costantemente dati su fenomeni e processi globali che ci aiutano a gestire al meglio le risorse ambientali e del territorio. Questi riguardano il monitoraggio delle coste, la qualità dell’aria, i movimenti del terreno, la copertura del suolo, le previsioni meteo e i servizi climatici, le risorse idriche, l’emergenza e la sicurezza.

Nel Programma spaziale europeo 2021-27 si fa riferimento a nuove capacità di monitoraggio e inventario della CO2 e di altri gas serra. Quando sarà possibile rilevare le emissioni come indicato dall’Accordo di Parigi sul clima su base territoriale, stato per stato?

Nei prossimi 7 anni si costruirà un sevizio totalmente dedicato alle misure della CO2 con il lancio di una nuova missione di 4 satelliti, oltre ad una rete per le misure a terra. Alla fine di questo investimento sarà operativo un servizio per fare queste misure, in Europa e a livello globale. Ogni paese avrà un sistema gratuito per misurare le emissioni.

Nessuno stato potrà più «barare» sulle emissioni?

Va detto che i dati del satellite devono essere validati con altri dati presi a terra. Facciamo l’esempio della Cina: se le misure a terra non vengono rese disponibili, si potrà avere una stima quantitativa, anche se resterà un margine di incertezza. I satelliti di per sé non bastano, non è vero che possono misurare e controllare tutto. Quella satellitare è una misura che viene presa ogni tot giorni, va integrata con altri dati a terra e con la modellistica. Comunque, dà un’idea: ad oggi non abbiamo una stima di quanti gas serra emettono i singoli stati.

Oggi i livelli delle emissioni dei gas serra sono dati sensibili degli stati?

Esattamente. I dati oggi vengono forniti su base volontaria. Invece, con questo nuovo sistema avremo una misura, seppure non accurata al 100 %. È un passo avanti enorme. Alle COP si potrà discutere di qualcosa di oggettivamente misurato. Le misurazioni spessissimo vengono fatte con metodi di campionamento che alla fine sono metodi statistici, difficilmente omogenei. Quindi spesso ci troviamo a confrontare misure che non sono standardizzate. Con i dati di Copernicus invece avremo una misura globale standardizzata.

In che modo il Copernicus User Forum ha aiutato l’Italia a sfruttare i vantaggi del mercato europeo e globale dei servizi geo-spaziali? Dove siamo forti e dove deboli?

Lo User Forum è il luogo dove tutte le comunità interessate ai dati del sistema Copernicus discutono come utilizzarli o come averne di nuovi, in base alle necessità che possono emergere; inoltre hanno la facoltà di riportare eventuali richieste a livello europeo. Come sistema paese, l’Italia ha saputo utilizzare i servizi geo-spaziali per costruire dati e informazioni utili nei casi di emergenza. La nostra Protezione civile ha aiutato la Commissione europea e gli altri stati membri a costruire il servizio di emergenza di Copernicus mettendo a punto, per fare un esempio, i dati che servono on demand in caso di eventi meteorologici estremi o sismici, come il Rapid Mapping, quando servono immagini ad altissima risoluzione per decidere la logistica o organizzare i soccorsi. Avendo definito le necessità del servizio, la nostra Protezione civile ha saputo indirizzare al meglio le imprese italiane ai bandi europei, che infatti se li sono aggiudicati. Magari senza visibilità, perché sui servizi erogati in tutta Europa c’è il bollino dell’UE, ma nella realtà questi sono servizi forniti da imprese italiane. Lo stesso meccanismo è avvenuto per il servizio di ground motion, il monitoraggio europeo dei movimenti del terreno, che sarà operativo da giugno 2022: anche questo sarà erogato da imprese nazionali.

Quali sono le potenzialità del sistema Copernicus che ancora non sono state espresse?

Copernicus è nato per supportare esigenze istituzionali e poi andare a mercato. Fino ad ora i suoi dati sono stati per lo più usati da alcune grandi imprese che sono riuscite a vendere servizi a ministeri, o al sistema della Protezione civile, come abbiamo detto prima, quindi ad un unico committente. Però, quegli stessi dati, elaborati ed aggregati in modo diverso, aggregati o integrati da altri dati, possono essere utilizzati per sviluppare altre tipologie di servizi da vendere invece a milioni di utenti. Il reale mercato del dato dell’informazione è questo. Però Copernicus non è ancora arrivato a metterlo in piedi. Sarà il prossimo traguardo.

Grazie alla sua Open Data Policy, i dati del sistema Copernicus sono liberi, aperti e gratuiti per tutti i cittadini o per le imprese. C’è reciprocità con altri sistemi satellitari, per esempio quello della Nasa o cinesi?

Assolutamente no.

Dove sta il vantaggio europeo di questa scelta?

I dati di solito sono a pagamento. Copernicus ha cambiato questo paradigma suscitando un interesse e un uso direi smodato. Abbiamo quasi drogato il sistema. Dove sta il vantaggio? Le faccio un esempio: quando mi sono laureato il mio professore mi comprò un’immagine satellitare, un investimento da 5 milioni di vecchie lire. Costava molto, ma non mi servì a niente. Era una di quelle immagini che poteva servire, credo, per scopi di sicurezza, ma per ogni altro uso era troppo costosa, quindi inutilizzabile. Con Copernicus vengono messi viene messa a disposizione un’enorme molte di dati gratuiti così che soprattutto i giovani, che hanno molte più idee di noi, li possano utilizzare, possano “giocarci” e tirare fuori idee innovative e servizi per creare valore e occupazione. L’UE ha per questo investito anche nei DIAS che servono a studenti e ricercatori per accedere a bassissimo costo anche a risorse di calcolo.

Le Open school che avete creato a chi sono indirizzate?

Copernicus al momento è un programma di successo per chi è già del settore. Ma i ragazzi di un istituto tecnico non ne sanno nulla, non sanno che i dati sono gratuiti. E nemmeno nelle università di Lettere o di Agraria si insegna Copernicus. Gli utenti reali di Copernicus non sono gli ingegneri, semmai i geometri, gli agronomi, o magari chi si occupa di politiche ambientali. Non possono diventare tutti esperti di rilevazioni a terra: a loro bisogna far arrivare non il dato ma l’informazione, bisogna semplificare. Come è stato per il GPS: oggi tutti lo usiamo per andare al ristorante o per viaggiare, ma dietro c’è un complesso sistema di dati di rilevazioni a terra, di cui non ci rendiamo nemmeno conto.

I dati geo-spaziali possono essere usati per attività di identificazione di piccole imbarcazioni e di sorveglianza alle frontiere. A che punto siamo? Quando i satelliti ci aiuteranno a salvare vite in mare, a prevenire tragedie?

C’è un servizio Copernicus dedicato alla security – questo però non è accessibile a tutti: si chiama External action and border control. Il satellite però non passa ogni ora, non identifica la singola imbarcazione, ma invia segnali diversi da interpretare, come un cambiamento nell’uso del suolo oppure segnali di assembramento su cui sarebbe opportuno ragionare con altre informazioni di contorno, come il movimento delle imbarcazioni. A questo serve il dato satellitare: a prevenire, più che a controllare. Di dati ne abbiamo a sufficienza. Non serve lanciare altri satelliti, ma imparare a migliorare la realtà con i dati che già abbiamo. Per questo, semmai, servono molti giovani competenti.