Con un titolo, Visti da vicino – che anche Giulio Andreotti aveva a suo tempo chiesto con profitto in prestito a Leonetta Cecchi Pieraccini -, Renato Barilli presenta le sue tempere su carta, realizzate nel 2017 e nel 2018. Mostrate, nel numero di settanta, nel novembre scorso a Milano, alla Permanente, una scelta di quaranta ritratti di «protagonisti del mondo dell’arte» è ora esposta a Roma presso La Nuova Pesa.

Nel Corso di estetica licenziato da Barilli nel 1989 per il Mulino, a proposito della fotografia («un campo di artisticità autonoma») e del fotografo («non meramente intento a uno scopo di illustrazione, di documentazione pratica») si legge, tra l’altro, che «l’artista visivo tradizionale (il pittore o lo scultore, come lo si dovrebbe definire secondo i parametri soliti) può impadronirsi del mezzo fotografico, affidandogli il compito di apprestare delle immagini di fedele riporto naturalistico su cui condurre delle operazioni di ordine concettuale; oppure per evidenziare gli aspetti estetici, prendendo la parola nel suo significato etimologico più intenso».

A un tale convincimento Barilli si attiene in queste tempere. È opportuno trascrivere, non riassumere o parafrasare un passo della presentazione che egli ha steso in occasione della mostra. Non si mancherà così di apprezzare la consapevolezza che Barilli possiede del suo fare pittura, intendo dire delle motivazioni teoriche e degli addentellati e dei riferimenti della sua poetica o, più semplicemente, dell’intento che lo muove ad eseguire i ritratti.

«Per questi ritratti, scrive, i vari invitati non hanno dovuto certo sottostare a lunghi tempi di posa, è bastato che mi mandassero uno scatto, un selfie preso all’istante». E aggiunge: «E se avessi messo in mostra anche vedute e paesaggi, posso assicurare che per ottenerli mi guardo bene dal ricalcare il rito demodé di andare ‘sul motivo’ col tradizionale cavalletto, anche in questo caso rubo le immagini del reale con lo strumento prensile e rapido di una foto immediata, da cui poi nasce il mio tentativo di nutrirla di buone sensazioni di erbe, di muri, e anche di lamiere di auto».

È dunque la restituzione, la mutazione (o la ripetizione differente, concetto caro a Barilli) in pittura che nutre di buone sensazioni le immagini del reale (rubate come fotogramma e, come tali, poi assunte). Áisthesis, ovvero sensazione: la parola estetica presa qui «nel suo significato etimologico più intenso», come diceva la pagina del Corso.

In Visti da vicino, hai l’immagine fotografica riportata a pittura a che Barilli ne ponga «in evidenza», ne realizzi «gli aspetti estetici», ovvero la renda portatrice di buone sensazioni. Ovvero la renda bella. Per quanto concerne il suo realizzare in pittura, Barilli si mostra memore della lezione di Jean Fautrier (studiata fin da Considerazioni sull’Informale, saggio pubblicato nel 1961 su “Il Verri” di Luciano Anceschi), ragionata poi nei suoi sviluppi (lezione ‘materica’ e ‘spaziale’ che porta, ad esempio, alle ‘cose’ di Claes Oldenburg, come Barilli a più riprese argomenta a far data dal 1967). Giuseppe Ungaretti acutamente aveva colto questo tratto ‘maieutico’ dell’opera di Fautrier che non si abbandona «a un automatismo psichico, ma che ricorre a un operare voluto».

Infatti, come Barilli scrive nella presentazione de La Nuova Pesa, è il «grumo informe», l’«embrione non ancora ben maturato» di Fautrier che tuttavia cospira ad una nuova «calamitazione sull’oggetto» e che, per parte sua, il giovane Barilli nei primi anni Sessanta avverte e interpreta (richiama in proposito il precedente delle pitture d’una sua «unica mostra monografica» da lui esposte nel 1962). Dal gessoso grumo di Fautrier muovono i pigmenti opachi delle recenti tempere di Barilli: la tempera che sempre tiene di un che di terroso, di refrattario che la luce assorbe e non rinvia.

Un cenno al titolo dove quel vicino è, direi, la sola vicinanza consentita secondo Barilli all’attuale nostro vedere. Il veder da vicino parrebbe oggi necessitare, per affermarsi, d’un duplice spalto, d’una scansione binaria, non mediata, non indiretta, ma, semplicemente, doppia. Così oggi la buona (bella) sensazione è consentita ad una immagine quando il vicino è visto come il risultato di attestate distanze.