Che cosa c’entra la filosofia di Avicenna con le idee della sinistra? E perché questa associazione tra Aristotele e Hegel richiamata dalla formulazione «sinistra aristotelica»?
La connessione tra due posizioni solo apparentemente così lontane viene tracciata dal filosofo Ernst Bloch in uno studio dal titolo Avicenna und die Aristotelische Linke (Avicenna e la sinistra aristotelica) un testo che finora era inedito in italiano e che è stato pubblicato di recente da Mimesis (pp. 172, euro 14) nella bella e nuova collana «Piccola Biblioteca», a cura di Nicola Alessandrini (che firma sia la traduzione sia l’accurata introduzione).

QUESTE PAGINE dedicate anche alla filosofia aristotelica hanno accompagnato il percorso di vita e di studio di Bloch in un lungo arco temporale, che parte dagli anni Venti e culmina, in un contesto totalmente diverso, con la pubblicazione nel 1952 di un primo testo con questo titolo, per i tipi della casa editrice Rütten & Loening di Berlino, in occasione del millenario della presunta nascita del filosofo Ibn Sina, più noto come Avicenna.

IL LAVORO verrà poi ripubblicato in una nuova cornice, inserito all’interno del volume più articolato dal titolo Das Materialismusproblem (Il problema del materialismo), nel 1972, quando Bloch, emigrato nella Germania occidentale dopo essere entrato in rotta di collisione con gli esponenti ufficiali del materialismo dialettico, si sofferma a ripensare criticamente e dolorosamente la degenerazione della sinistra in una nuova forma di dittatura. Gli eventi storici del secondo Novecento si erano incaricati di profilare diversamente la questione della connessione tra aristotelismo e materialismo nel corso di alcune tappe focali della storia politica e culturale tedesca. Come si legge nella esaustiva introduzione al volume, negli anni Venti il piatto della bilancia pendeva dalla parte dell’aristotelismo, tanto che Bloch in quegli anni si imbarca da Marsiglia verso Tunisi, per visitare i luoghi in cui avevano insegnato Avicenna e Averroè. Ma è proprio in occasione di questo viaggio mediterraneo che Bloch scopre tutta la valenza utopica e materica della lezione aristotelica, o almeno di una sua certa tradizione.

PER COMPRENDERE a pieno tale dimensione latente occorre focalizzare l’attenzione da un lato sulla radice «mater» del materialismo e dall’altro sulla polarità tra forma e potenza teorizzata dalla filosofia aristotelica, e declinata in senso «utopico» dal filosofo ebreo spagnolo Avicebron, a cui sono dedicati diversi spunti del libro. È quest’ultimo a sottolineare l’importanza del termine materia, sia nella sua versione greca (come hyle), sia nella sua accezione latina, se si accetta l’etimologia che vorrebbe derivare materia da mater: per Avicebron sarebbe addirittura la forma a derivare dalla materia, con un processo d’inversione rispetto al paradigma aristotelico. La destra aristotelica, che muove fino alle posizioni di Tommaso, ha accentuato quel teismo del puro noûs, che già Aristotele aveva delineato, riducendo la materia a mera potenzialità, cioè alla radicale incapacità di prendere forma da sola nel mondo dal semplice dynámei ón, essere-nella-possibilità. Su tutt’altro piano si articola la sinistra aristotelica. Questa linea, che prende le mosse dal concetto aristotelico di materia-forma per approdare al suo effetto – l’esaltazione della potenza divina stessa nella potenzialità attiva della materia –, è la via per eccellenza della sinistra aristotelica, con Avicenna come punto di riferimento, e indica la nuova epoca dopo l’antichità. Hegel con Aristotele, quindi. In questo senso – come ben spiega Alessandrini – Bloch per un verso esalta il metodo dialettico (e tutto ciò che ne deriva) della filosofia hegeliana, ma dall’altro riconsidera lo spessore teoretico della teoria di Aristotele, che ha riconosciuto la centralità del concetto di materia.

IN QUESTA SUA OPERA Bloch sottolinea come all’interno della linea della sinistra aristotelica la filosofia si sia progressivamente emancipata dalla supremazia di una forma pura. Non è in gioco infatti una sorta di liberazione della materia, quanto piuttosto il tentativo di comprenderla in tutta la sua profondità. Si tratta di «vedere attraverso» la materia le sue forme latenti, non come qualcosa che non si è dato, quanto piuttosto nel senso di un dynámei ón (come energia e come seme vitale), ovvero come una potenzialità inespressa che agisce e opera in absentia. La materia si rivela così gravida di forme ancora da liberare, da produrre sempre di nuovo. Ed è questa dimensione di lógos spermatikós che costituisce un tratto distintivo dell’intero tracciato filosofico blochiano, e forse anche di molte pagine della filosofia occidentale di ascendenza marxista.