Ogni mille pachistani degli oltre 86 milioni di aventi diritto, c’è un uomo delle forze dell’ordine che ha il compito di garantire uno svolgimento pacifico di una delle più difficili e pericolose elezioni che il Pakistan deve affrontare. La prima che vede un governo civile arrivare a fine legislatura. Compito difficilissimo.

Alla fine di una campagna elettorale in cui il verde islamico del radicalissimo e sanguinario movimento dei talebani pachistani (Tehrek-e-Taleban Pakistan o Ttp) si è mischiato col sangue di oltre cento vittime (attentati spesso avvenuti in pieno giorno e in luoghi affollati), sembra impossibile che la consultazione di oggi possa essere esente da qualche nuova strage: ieri la giornata si è conclusa con l’ennesimo attentato mortale a Miranshah nelle regioni di frontiera del Nordovest – terra franca del Ttp – ed è costato la vita a tre persone che transitavano vicino a una sede di partito. E nemmeno ieri hanno dato risultati le ricerche del figlio dell’ex premier Yusuf Raza Gilani, appena sequestrato dal Ttp. La guerra santa che i talebani pachistani stanno conducendo praticamente contro quasi tutte le forze politiche, ma soprattutto contro la “sinistra” rappresentata da partiti laici come il Partito del popolo (Ppp) e il partito popolare (Awami), è stata il segno più di un conflitto intestino, che vorrebbe prefigurare una guerra civile in nome del Corano contro chi pensa che democrazia e islam si possano coniugare, che non la “punizione” che il Ttp dice di voler infliggere a chi, esercito compreso, ha permesso agli americani di entrare nel paese.

I partiti che si contendono il futuro governo civile, in un paese vessato da colpi di stato militari e leggi emergenziali, sono ormai da anni sulla scena politica e non riservano grandi sorprese nei programmi. Il Partito del popolo del presidente Zardari, alla cui testa è stato messo Bilawal, un rampollo della dinastia Bhutto, esce da anni di governo difficili, con alleanze a geometria variabile. Per ora si candida a governare con una delle tante anime della Lega musulmana contando sulla fazione Q (Pml-Q) anche se, a parte i 54 seggi guadagnati nelle elezioni precedenti, è un partito che con la storia del Ppp, nato con aspirazioni socialiste, c’entra davvero poco. È formato da fuoriusciti della Lega che sostennero la dittatura di Musharraf ed è un partito conservatore. Ma è anche il terzo eletto nel 2008 e quello che, inizialmente all’opposizione, ha poi sostenuto le sorti del traballante governo Ppp, travolto da scandali, fallimenti economici e segnato dal difficile rapporto con Washington.

All’opposizione c’è una faccia ultra nota: Nawaz Sharif, l’ex premier che nel 1999 fu esautorato dal golpe di Musharraf e che se ne andò in auto esilio per anni. Conservatore, accusato di aver coltivato l’estremismo radicale per servirsene politicamente, Nawaz guida la fazione della Lega musulmana che porta il suo nome (Pml-N) e può contare sul fatto che alle passate lezioni si affermò come il secondo partito, che rifiutò “inciuci” col Ppp il cui lascito politico piuttosto disastroso potrebbe adesso favorirlo. C’è chi lo dà per futuro premier ma dovrà anche lui fare i conti con le alleanze. Ad esempio la forza elettorale del Muttahida Qaumi Movement (Mqm), un vecchio partito che ha la sua base elettorale soprattutto nella grande Karachi e che nacque a difesa dei Mohajir, i musulmani costretti dalla Partiton del Raj britannico nel 1947 a lasciare l’India per dar vita al Paese dei puri. Altri partiti minori, ma non irrilevanti specie in alcune regioni, sono l’Awami, forte nelle aree a maggioranza pashtun, e il Pakistan Tehreek-e-Insaf, il partito della giustizia dell’ex cricketer Imran Khan. Il suo cavallo di battaglia è la corruzione da cui sembra esente visto che è miliardario, ma il risultato che può ottenere è un interrogativo. Com’è un interrogativo capire dove andranno a finire i voti di un campione della lotta alla corruzione appena apparso sulla scena ma che non si presenta alla elezioni: Tahir ul Qadri, un mullah che è riuscito a trascinare nelle piazze migliaia di pachistani imbufaliti, per una ragione o per l’altra, con una marcia pacifica contro i palazzi del potere.

Le urne aprono stamane alle 8 e chiudono alle 5 e gli elettori (le donne sono 37 milioni) dovranno eleggere 272 dei 342 deputati dell’Assemblea nazionale (ossia la Camera bassa, cui si aggiungono 10 seggi per le minoranze e 60 per le donne) e i rappresentanti di quattro assemblee provinciali cui poi toccherà la scelta dei senatori (che si svolge in più riprese) e quella, sempre nel 2013, del presidente della Repubblica. Per fare il governo servono almeno 172 seggi ed è dunque scontato un esecutivo di coalizione. Quale che sia, appare già dominato da vecchie facce anche se l’incognita dell’astensione e quella del voto giovanile (35 milioni alla prima volta) potrebbero pesare: per penalizzare qualche partito, puntare su nuovi cavalli e indicare la necessità di una svolta. Inshallah.