«Peculato, abuso d’ufficio, subornazione», ovvero induzione di un testimone a dichiarare il falso: sono questi i capi d’accusa per i quali il prossimo 27 luglio (data della prima udienza), in Vaticano, andrà a processo il cardinale Angelo Becciu.

Si tratta di uno dei più potenti prelati della Curia romana: uomo di fiducia di papa Francesco, per sette anni numero due della Segreteria di Stato vaticana (prima con Bertone e poi con Parolin), prefetto della Congregazione per le cause dei santi fino al settembre 2020, quando lo stesso Francesco, che due anni prima lo aveva creato cardinale, lo ha rimosso dall’incarico e lo ha privato delle prerogative del cardinalato, cioè il diritto di voto in conclave e l’immunità diplomatica.

MA AL DI LÀ di Becciu, primo cardinale a finire alla sbarra in un processo penale istruito Oltretevere – per effetto di una riforma voluta da Beroglio, che sottopone anche cardinali e vescovi al tribunale ordinario, previo l’assenso del pontefice -, quello delineato nel decreto di citazione redatto da Gian Piero Milano, il promotore di giustizia (il pm) vaticano, è un «marcio sistema predatorio e lucrativo» orchestrato da «soggetti estranei alla natura ecclesiale», con la «complicità» e la «connivenza» di prelati e funzionari della Santa sede, teso ad accaparrarsi milioni di euro nella disponibilità della Segreteria di Stato e dell’Obolo di san Pietro (le offerte per la carità devolute al papa da tutto il mondo).

Segno quindi che a essere «marce» non sono le proverbiali mele, ma l’intera struttura. Oltre a Becciu, che si dichiara «vittima di una macchinazione» e si dice certo che in aula verrà dimostrata «l’assoluta falsità delle accuse nei miei confronti», infatti andranno a processo altre nove persone: due funzionari della Segreteria di Stato vaticana – che si è costituita parte civile e sarà difesa dall’avvocata ed ex ministra della Giustizia Paola Severino -, monsignor Mauro Carlino (estorsione e abuso d’ufficio) e Fabrizio Tirabassi (corruzione, estorsione, peculato, truffa, abuso d’ufficio); gli ex vertici dell’Aif, l’Autorità di vigilanza finanziaria vaticana, ovvero coloro che avrebbero dovuto controllare che non vi fossero ruberie, cioè l’ex presidente René Brülhart (abuso d’ufficio) e l’ex direttore Tommaso Di Ruzza (abuso d’ufficio, peculato, violazione del segreto d’ufficio); tre finanzieri d’assalto, a cui la Segreteria di Stato aveva affidato soldi e speculazioni (Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi ed Enrico Crasso, insieme alle sue tre società, accusato di peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e in scrittura privata); l’avvocato Nicola Squillace, come intermediario (truffa, appropriazione indebita, riciclaggio); e Cecilia Marogna, la donna legata a Becciu che avrebbe ricevuto ingenti somme dalla Segreteria di Stato (quasi seicentomila euro) per operazioni di intelligence e di cui si sarebbe indebitamente appropriata.

A GIUDICARLI sarà Giuseppe Pignatone, dall’ottobre 2019 presidente del Tribunale dello Stato vaticano, dopo aver lasciato la procura di Roma per raggiunti limiti di età. E il fatto che papa Francesco abbia voluto a capo della giustizia vaticana uno dei più noti magistrati antimafia è indicativo della percezione che si ha del «sistema» che si annida nei sacri palazzi.

L’indagine è iniziata nel 2019, dopo una denuncia arrivata dallo Ior (che in questo caso non si è prestato a operazioni opache, come invece aveva fatto in passato) e dal Revisore generale dei conti vaticani, e ha visto la collaborazione di varie procure nazionali (Roma, Milano, Bari, Trento, Cagliari e Sassari) e Stati esteri (Emirati arabi, Gran Bretagna, Jersey, Lussemburgo, Slovenia, Svizzera). Sintetizzarla è difficilissimo, tanto che ai pm vaticani non sono bastate cinquecento pagine di decreto di citazione.

TUTTO PARTE da una speculazione immobiliare su un palazzo a Londra (duecento milioni) da trasformare in appartamenti e uffici, affidata a una società di Mincione. L’operazione va male, e il Vaticano per tentare di recuperare i soldi persi (almeno venti milioni) si affida a un’altra società, di Torzi, con la mediazione di Crasso e Tirabassi, aumentando ulteriormente le perdite di almeno altri cinquanta milioni. È in questo frangente che nell’inchiesta entra anche Becciu, a cui i pm vaticani imputano di aver caldeggiato per primo l’acquisto del palazzo di Londra (quando era numero due della Segreteria di Stato) e di aver attuato «interferenze» di vario tipo, compreso il tentativo di far ritrattare alcuni testimoni chiave, a cominciare da monsignor Alberto Perlasca, funzionario della Segreteria di Stato. Oltre che di aver dirottato duecentomila euro dalla Segreteria di Stato e seicentomila dai fondi dell’otto per mille della Cei per sostenere le attività di una cooperativa amministrata dal fratello.

Il 27 luglio comincerà il processo, che si annuncia lungo e complesso.