Le tre Gymnopedies (1888) e le sei Gnossiennes (1890) di Erik Satie non sono soltanto tra i brani più eseguiti di tutta la storia della musica, ma possiamo annoverarli tra i più misteriosi. In quel loro nitore neoclassico e in quelle melodie piccole e ipnotiche che anticipano il minimalismo, la loro chiarezza è solo apparente.

ASCOLTIAMO tre nuove interpretazioni che escono adesso e troviamoci immersi nell’ambiguità di un’arte musicale tutta interrogativa. La prima è del turco Fazil Say, pianista che nel suo ultimo cd (Warner Classics) esegue i due interi cicli impaginandoli insieme al primo libro dei Preludi di Debussy. La prima delle sei Gnossiennes è talmente celebre che si rischia di non cogliere la ricchezza armonica che Say tira fuori dal tempo lento e costante richiesto dalla partitura, ben sapendo che le sardoniche indicazioni di Satie lasciano ampia libertà (la numero 2 porta l’indicazione «Con stupore» e l’ultima «Con convinzione e tristezza rigorosa»). La francese Hélène Grimaud nel suo Memory e la tedesca Alice Sara Ott in Nightfall (entrambi Deutsche Grammophon), decidono invece di non eseguire i cicli completi, ma di scegliere solo alcuni singoli pezzi. La prima li inserisce in un ampio programma dove abbiamo ancora Debussy, ma anche Chopin e il contemporaneo Valentin Silvestrov. E l’eco delle mazurche e dei valzer chopiniani trascina anche Satie in un movimento di danza, che forse era l’intenzione occulta di brani scritti quando il compositore per campare suonava il piano nel cabaret Le Chat Noir.

E COSÌ, più che ai due giganti suoi contemporanei, Debussy e Ravel, la Grimaud ci mostra come Satie fosse piuttosto debitore alle trasparenti melodie dei Notturni chopiniani. Ma come in una istantanea dell’epoca, Alice Sara Ott incastra Satie tra il Debussy della Rêverie e della Suite bergamasque e il Ravel del Gaspard de la nuit e della Pavane pour une infante défunte. E ci mostra la sua solitudine, il fatto che fosse stato lui a influenzare gli altri, e non il contrario. Ott suona le Gnossiennes 1 e 3, e la Gymnopédie 1, andando oltre il «lento» richiesto dalla partitura: il suo Satie è ieratico e incombe monumentale come una statua, rivelando così un destino oracolare. Come un oracolo, Satie viveva nascosto dietro il monocolo e la bombetta e ai titoli bizzarri alla sua musica: Tre pezzi in forma di pera, Vessazioni, Brani freddi. Veniva dalla Normandia, suo padre era libraio, la madre scozzese. Ma dietro l’umorismo di Satie c’è il profondo distacco dalla vita di un uomo che viveva clandestinamente e poveramente; dormiva su un’amaca riscaldandosi con una fila di bottiglie piene di acqua calda. Quando morì, nella sua casa venne trovato un armadio pieno di ombrelli tutti uguali e buste chiuse, con le lettere mai lette di ex-amici come Debussy. ù

FU JEAN COCTEAU, suo collaboratore nel balletto Parade, a decifrarlo quando scrisse: «La profondità di un Satie offre ai giovani musicisti un insegnamento che non implica l’abbandono della propria originalità. Wagner, Stravinsky e anche Debussy sono delle belle piovre. Chi gli si avvicina a malapena riesce a svincolarsi dai loro tentacoli; Satie indica una strada bianca dove ognuno lascia liberamente le proprie impronte». Dunque, la libertà: ecco perché la sua semplicità è così difficile.