Nel marzo scorso avrebbero dovuto iniziare le riprese del film La mia migliore amica, Anne Frank di Ben Sombogaart, basato sulle memorie di Hanneli Goslar, la Lies Goosens del Diario. Residente a Gerusalemme, Goslar aveva raccontato già nel 1988 a Willy Lindwer di aver incontrato per qualche istante Anne a Bergen-Belsen, al di là del filo spinato. Una Anne senza più la forza fisica e spirituale per sopravvivere. Nel libro-documentario di Lindwer, Gli ultimi sette mesi di Anna Frank, veniva intervistata anche Janny Brilleslijper che, insieme alla sorella Lien, condivise con Anne e Margot Frank e un gruppetto di altre giovani donne olandesi gli spaventosi mesi tra fine 1944 e inizio 1945. Furono Janny e Lien, infermiere del campo, a calare i corpi delle sorelle Frank in una fossa comune.

Ora, Lien e soprattutto Janny compaiono come protagoniste nel libro della giurista Roxane van Iperen, L’Alto Nido (traduzione dal neerlandese di Francesco Panzeri, Bompiani, pp. 464, € 19,00) scaturito dalle ricerche appassionate dell’autrice, avviate il giorno in cui, ignara di tutto, si trasferì con la famiglia nelle brughiere e nei boschi della regione a sud-est di Amsterdam, in una casa chiamata per l’appunto L’Alto Nido. Lì le sorelle Brillesplijper avevano trovato rifugio tra 1943 e il 1944, insieme alla famiglia e a tanti amici e sconosciuti, anche loro perseguitati.

Sul crinale tra fiction e non, l’opera di Van Iperen esplora il retaggio del passato non ancora metabolizzato della Seconda guerra mondiale, inserendosi nel filone cui già apparteneva Sonny Boy di Annejet van der Zijl (Marsilio). Vi si riattualizzano vicende per il lettore di oggi quasi impensabili e tornano a comparire personalità, ignote ai più, di grande fascino, con una combinazione di forza immaginifica e rigorosa ricerca storica, che la scrittura tuttavia non esibisce.

Basterebbe la lucida sezione finale su Westerbork, Auschwitz-Birkenau e Bergen-Belsen a giustificare l’interesse per il libro di Van Iperen, già anticipato dalle due sezioni precedenti, dove si racconta la progressiva privazione di ogni libertà e il crescente isolamento sociale di vaste componenti della società olandese, a seguito dell’invasione nazista. Un sistema amministrativo molto efficiente, le cui maglie si stringono sempre più dal 1940 al 1942, infierisce tanto sugli ebrei quanto sui comunisti (Janny ha combattuto nella guerra di Spagna) e i disertori di varia provenienza, fra i quali il compagno tedesco di Lien.

Né lo sguardo scettico e disilluso sulla Resistenza olandese di molti studi degli ultimi anni, né la visione eroica vulgata nel dopoguerra aggravano la scrittura di Van Iperen, dove ciò che più impressiona è piuttosto la capillare rete di contatti che tiene insieme persone di tutti i Paesi Bassi – in perenne movimento a piedi, su biciclette, e treni – finendo per costituire una società parallela, nascosta nelle pieghe di quella «normale».

Sprazzi di vita artistica clandestina sono anch’essi contemplati nella rete di attivismo politico e di mutua assistenza: ad Amsterdam, almeno fino a quando la città non è ridotta a un deserto, si suona e si canta in segreto. Perfino nell’Alto Nido, in mesi sospesi tra incertezza, paura e insperata felicità familiare in simbiosi con la natura, Lien (che nel dopoguerra diverrà cantante nella Ddr) e il compagno organizzano concerti, mostrando una capacità di resilienza e una cura di sé e degli altri alle quali le sorelle attingeranno per sopravvivere nei lager.

Per gli spettacoli di Lien nell’Alto Nido un’artista amica realizza delle maschere: una di queste mostra il profilo, con la «forma caratteristica di un teschio, senza orbite vuote, bensì con palpebre gonfie, come se la morte potesse cambiare idea da un momento all’altro».