Essenziali per l’opera e l’estetica di Vincent van Gogh furono sicuramente gli anni trascorsi nel sud della Francia. È qui che, fra il 1888 e 1889, l’artista produsse alcuni dei suoi dipinti più riusciti, portando a maturazione una poetica in grado di preannunciare alcuni temi delle rivoluzioni avanguardiste d’inizio Novecento. Ma, a ben vedere, questo fu soltanto il culmine di un percorso assai più ampio, che risale agli anni della formazione di van Gogh, che rischia a volte di rimanere in secondo piano rispetto al periodo provenzale.

La Tate Britain, in questo senso, offre la preziosa opportunità di analizzare nel dettaglio un intermezzo della sua vita del tutto particolare: quello racchiuso fra il 1873 e il 1876, durante il quale van Gogh abitò a Londra. Lo fa con l’esposizione Van Gogh and Britain (fino all’11 agosto, a cura di Carol Jacobi), che vuole rappresentare ed esporre il dialogo intercorso fra il pittore di Zundert e alcuni artisti britannici che senz’altro lo influenzarono e ispirarono. La mostra è suddivisa in due macrosezioni: la prima indaga opere, movimenti, tendenze inglesi che catturarono la curiosità e l’attenzione di van Gogh; la seconda guarda invece agli effetti che le tele di quest’ultimo produssero in alcuni importanti artisti britannici, primo su tutti Francis Bacon.

L’esposizione si apre con alcuni notevoli paesaggisti britannici. Parliamo di John Everett Millais, George Henry Boughton e Mendeirt Hobbema, il quale, seppur olandese, trovò in Gran Bretagna una vera e propria seconda patria. La prospettiva che le loro opere gettarono sulla campagna inglese, leggermente malinconica e desolata, dovette fungere da esempio per van Gogh, che successivamente si sarebbe ritrovato a contemplare i paesaggi francesi con lo stesso sguardo autunnale di chi sa racchiudere in poche pennellate il grande ciclo vita-morte della natura. Lo si vede bene nel raffronto fra la tela di Hobbema The Avenue at Middelharnis (1689), acquistata dalla National Gallery pochi anni prima dell’arrivo di van Gogh a Londra, e Viale dei pioppi in autunno (1884) dello stesso van Gogh. Due viali alberati, due prospettive lunghe, immerse in un orizzonte sonnolento e sulfureo, dove la vita quotidiana sembra aver arretrato di fronte all’incedere spietato della natura e delle stagioni. La somiglianza fra i due quadri è impressionante e denota un’attitudine simile nei confronti dei grandi spazi aperti che percorrono le vaste pianure olandesi. Oppure, spostandoci in un’ambientazione più prettamente cittadina, incontriamo un’altra similitudine notevole fra Nocturne: Grey and Gold Westminster Bridge (1871-’72 circa) di James Abbott McNeill Whistler e la grandiosa Notte stellata sul Rodano (1888) di van Gogh. Di nuovo, sembra che anche qui i due «registi» abbiamo posizionato la camera da presa con il medesimo intento rappresentativo: utilizzare il Tamigi e il Rodano come palcoscenici di una scena teatrale in cui il tempo si è fermato e dove la realtà sembra lasciare spazio a sentimenti nostalgici di un mondo imperscrutabile e restio a farsi catturare per intero dallo sguardo dell’uomo.

Successivamente, la mostra si sposta dai paesaggi alle scene della vita quotidiana e ai ritratti delle fasce meno abbienti della popolazione. Qui i curatori mettono l’accento sull’importanza che le stampe e le grafiche inglesi pubblicate su quotidiani come Illustrated London News o su riviste quali «The Graphic» dovettero avere per van Gogh, il quale nell’arco di una vita ne collezionò circa duemila. Ne vediamo un esempio significativo in The British Rough (1875) di William Small, un’illustrazione apparsa su «The Graphic» che ritrae un uomo dai lineamenti decisamente marcati e dotato di un’espressività particolarmente esagerata, al limite del caricaturale. È probabile che, in van Gogh, l’attenzione all’emotività e ai sentimenti della nascente classe operaia maturò anche in conseguenza dell’incontro con questa tipologia di pubblicazioni e artisti. A supporto, troviamo l’accostamento tra The Song of Shirt (1875 circa) di Frank Holl e Donna che cuce e gatto (1881) del maestro olandese: la stessa celebrazione della donna affaccendata in attività di ordinaria domesticità come quelle del cucito e del rammendo; lo stesso sguardo indulgente e tenero verso chi pretende per sé nient’altro che un vivere tranquillo e lontano da ambizioni eccessive e azzardate.

Infine, un omaggio ai celeberrimi girasoli di van Gogh. Un’intera sala, infatti, è dedicata ai Sunflowers del 1888, presi in prestito dalla vicina National Gallery. Ma non solo. Tutt’intorno fioriscono rappresentazioni dello stesso soggetto, eseguite da artisti inglesi in omaggio. Tra le altre, troviamo tele di Vanessa Bell, Jacob Epstein, Harold Gilman, Christopher Wood. Alcuni dei più importanti pittori britannici sono qui riuniti per consegnare a van Gogh un attestato di gratitudine e amicizia. Insieme alla Tate Britain, sottolineano l’impatto che la sua opera ha avuto e continua ad avere su intere generazioni di artisti e intellettuali.

A chiudere Van Gogh and Britain, tre grandi opere di Francis Bacon a confronto con l’Autoritratto di van Gogh del 1889. Quelli di Bacon sono tre studi espressamente ispirati al pittore, ritratto mentre attraversa cupamente i campi della Provenza, in cerca di nuovi soggetti da rappresentare. Al di là dei riferimenti pittori immediati, Bacon sembra vedere in van Gogh una bandiera dell’anticonformismo e della libertà d’espressione propri delle più accese rivoluzioni artistiche del ventesimo secolo, e forse è proprio questo il nesso più autentico che lo lega all’artista di Zundert.