Valerio Gennaro è medico epidemiologo, lavora da oltre trent’anni in un Irccs per la ricerca sul cancro, fa parte della commissione ambiente dell’Ordine dei Medici di Genova, e del comitato tecnico-scientifico dell’Isde, i Medici per l’Ambiente. Come esperto nell’individuazione delle cause, evitabili, delle malattie nelle comunità, si era già interessato della Valpolcevera.

– Dottor Gennaro, gli abitanti della valle stanno continuando a protestare. Dicono che sono anni che respirano aria inquinata. Stanno esagerando?

“Non esagerano. Sono abituati a convivere con una realtà difficile, anche a sopportarla. Il petrolio ha fatto traboccare un vaso già colmo. Anno dopo anno, in quella valle che per fortuna in certi punti resta splendida, c’è stata una riduzione degli spazi ambientali, sociali e sanitari. Oggi la Polcevera è vissuta nei ritagli dello spazio fra la raffineria, l’oleodotto, altri impianti produttivi, strade e parcheggi. Storicamente è la zona più industriale della città. Dà lavoro, ma toglie ambiente e salute”.

– Al di là di quest’ultima emergenza, davvero la situazione è così grave?

“I dati scientifici, certificati dalla Regione Liguria e relativi al quinquennio 2001-05, hanno segnalato nella valle eccessi di mortalità da patologie rispetto alle altre zone della città. Non solo tumori, anche altre malattie. La valle era già una situazione critica prima del disastro di domenica. Proprio sabato scorso come Isde eravamo lì in Polcevera, per un incontro tecnico-scientifico e anche enogastronomico, organizzato da una popolazione che ha un buon dna: resiste, e rilancia. Quanto alla gravità della situazione, possiamo dire che il ‘livello di salute’ è paragonabile a quello di Taranto”.

– Addirittura?

“Quando c’è una concentrazione di impianti industriali, e fra questi una raffineria, un deposito petroli e un oleodotto, c’è una impronta subliminale continua, quotidiana, di avvelenamento dell’aria. Lo studio epidemiologico di cui le parlavo non è aggiornato si ferma al 2005. Ecco, sarebbe opportuno andare avanti, e scoprire quali sono le origini delle patologie in eccesso in Valpolcevera. Per capire se è causa dell’amianto, o degli idrocarburi, o anche della povertà”.

– Vista sotto questa luce, non le sembra che anche i media più popolari, come le televisioni nazionali, abbiano sottovalutato la portata di quello che è successo in Valpolcevera?

“Fortunatamente è mancato il morto, così tutto è finito nelle retrovie dell’informazione generalista. Comunque se ne continua a parlare. Tutto sommato anche questa è stata una fortuna per la Valpolcevera. Quella zona così sofferente ha avuto finalmente un riconoscimento nazionale. Caso mai, visto che ci sono tante altre enclave pericolose in giro per l’Italia, consiglio di ascoltare le popolazioni, con le loro sofferenze e le loro proteste. Capiremmo tutti meglio”.

– A proposito di sottovalutazioni, ho sotto gli occhi un comunicato della Asl locale nel quale si dice che, allo stato attuale, non si può parlare di un rischio reale per la popolazione a causa dell’esplosione dell’oleodotto, perché i dosaggi della sostanze volatili del greggio sono bassi.

“Attenzione, non dobbiamo sottovalutare l’interazione dei fattori di rischio che incidono sulla valle, e che possono provocare dei problemi al soggetto x che è più debole, mentre non vengono avvertiti dal soggetto y che è più forte. Poi bisogna vedere cosa hanno misurato, e cosa non hanno misurato”.

– Quanto tempo ci vorrà per bonificare tutto e tornare alla situazione pre-esplosione dell’oleodotto Iplom?

“Ci vorrà molto tempo. Sarebbe necessario attivare un pool di esperti, dal geologo al sociologo, per ragionare su una situazione che, comunque, era compromessa già prima di domenica. Almeno per me, l’indicatore che conta è quello della salute. E il complesso delle patologie, sia nei maschi che nelle femmine, in tutte le età, mi fa pensare che la Valpolcevera era in emergenza a prescindere dallo sversamento di petrolio. Sarebbe molto importante aggiornare lo studio epidemiologico sulla popolazione della valle”.