Il nuovo primo ministro francese, Manuel Valls, ha sostanzialmente superato il difficile esame del discorso di politica generale, che precede tradizionalmente il voto di fiducia di ogni nuovo governo. Valls ha riconosciuto il quadro nero della situazione attuale, con una responsabilità da condividere tra tutte le forze di governo. Ha ammesso la vittoria dell’opposizione alle municipali e detto che nel paese ci sono «troppe sofferenze e non abbastanza speranze». Alla fine, ha ribadito la volontà di portare fuori la Francia dalla crisi, per ridare al paese «la forza economica che ha perso da dieci anni», senza però indicare un cambiamento di rotta, prendendo tempo.

Ha concluso giocando la carta della commozione, ricordando di non essere nato francese e rendendo omaggio alla Francia, uno dei «pochi paesi che permettono a qualcuno nato all’estero di diventare primo ministro». La fiducia è stata votata a larga maggioranza al di là del Ps, anche se ci sono state delle astensioni nella sinistra socialista, così come tra i Verdi. Il Front de Gauche ha votato contro, come la destra, che ha punteggiato il discorso di Valls con reazioni a volte scomposte.

Lo stile è combattivo. A cominciare dall’Europa. Valls ha confermato, evitando i dettagli, che ci saranno 50 miliardi di tagli alla spesa pubblica ma che il ritmo sarà scelto da Parigi, non da Bruxelles, «per evitare il ricorso alle tasse» e per «non soffocare la ripresa, perché in questo caso i deficit non diminuiscono». Valls ha proposto la «serietà di bilancio» e ha rifiutato «l’austerità». Per il primo ministro francese l’euro è sopravvalutato del 10% e la Bce sta facendo una politica meno espansionista di quanto non avvenga negli Usa o in Giappone, mentre è arrivato il momento per l’Ue di «dare risposte concrete alle attese dei popoli» alla vigilia delle europee. Con un certo piglio, ha ricordato a Bruxelles e a Francoforte che l’Europa non esiste senza la Francia.

Valls ha precisato i contorni del «Patto di responsabilità» di Hollande, con proposte molto concrete per il mondo del lavoro, dove «la cartella delle imposte è troppo pesante e la busta paga troppo leggera». Ha dato delle indicazioni precise per un calo delle tasse e dei contributi a carico delle imprese, con un abbassamento del costo del lavoro (di 30 miliardi entro il 2016) attraverso la soppressione dei contributi per i salari a livello dello Smic, oltre a una serie di altre misure che andranno a vantaggio soprattutto delle grandi aziende.

Il «Patto di responsabilità» sarà affiancato da un «patto di solidarietà», che si tradurrà in un aumento della busta paga (sui 500 euro l’anno, 5 miliardi di costi). Valls ha teso la mano agli ecologisti, anche se hanno rifiutato di far parte del governo.

La «transizione energetica sarà una priorità», per arrivare a una diminuzione del 30% delle energie fossili entro il 2030, confermando che il peso del nucleare in Francia sarà ridimensionato al 50%.
Ha annunciato la riduzione della metà del numero delle Regioni dal 2017 – da 22 a 11 – la soppressione dei dipartimenti dal 2022, oltre a risparmi negli enti locali.

«Non ho avversari a sinistra», ha affermato, per ridare un po’ di vigore alla maggioranza. «Voglio ascoltare l’opposizione» ha aggiunto, anche se la destra ha schiamazzato, preoccupata soltanto di respingere le riforme sociali passate con Hollande, dal «matrimonio per tutti» alla modifica dei cicli scolastici.