Per una volta non c’è stato alcun fraintendimento. La parola «addestramento» contenuta del ddl di riforma dell’istruzione tecnica professionale, approvata ieri alla Camera, è adeguata a descrivere l’ideologia del progetto di Valditara. Il ministro dell’Istruzione (e merito) si è presentato ieri mattina alla Camera con la Treccani in mano e ha letto in Aula una parte della definizione: «Alla voce ‘addestramento’ parla di istruire, preparare, impratichire. La parola è corretta e mi dispiace ci sia un fraintendimento». In realtà ha letto il lemma «addestrare», dato che, sempre secondo la nota enciclopedia, «addestramento» richiama invece cavalli e soldati, per lo più.

Stavolta l’opposizione è d’accordo, nessun equivoco, nessuno sbaglio. «Non serve la Treccani, non è questione di dibattito linguistico. La parola addestramento sta bene lì perché quello è l’obiettivo», afferma Nicola Fratoianni di Avs. E gli esponenti 5s: «D’accordo con Valditara, è proprio quella l’intenzione del governo: ammaestrare all’obbedienza come cavie da laboratorio». Anche Forza Italia e Confindustria hanno dato un contributo di chiarezza. Valentina Aprea, già sottosegretaria all’Istruzione nei governi Berlusconi II e III e coautrice con Letizia Moratti della legge 53/03 e oggi responsabile istruzione di Fi, ha espresso soddisfazione «rappresenta il completamento della Riforma Moratti». L’associazione degli industriali rivendica invece di aver sostenuto il progetto «fin da subito» perché «renderà la collaborazione scuola-impresa sempre più ampia e stabile». Nessuno ha da obiettare neanche su questo.

La riforma della filiera formativa tecnologico-professionale voluta da Valditara riesce dove i tentativi precedenti (Moratti nel 2003, poi Gelmini nel 2011 e Renzi nel 2017) avevano fallito: restaurare le vecchie scuole di avviamento professionale e sigillare il classismo nel sistema di istruzione italiano, destinando i figli delle famiglie meno abbienti a lavori di manovalanza. Lo stesso ministro ha fatto più volte riferimento all’avvio della costruzione del ponte sullo Stretto come destino per i ragazzi calabresi e siciliani.

Il progetto prevede l’introduzione del modello 4+2: quattro anni di secondaria superiore (con esperti delle aziende che fanno lezione come i docenti) più, eventualmente, due anni di formazione specialistica negli Its (dove ci sono) piegati alle esigenze delle imprese specifiche del territorio. Con un aumento delle ore di alternanza scuola lavoro (ora Pcto). La parola contestata sta proprio nell’articolo del provvedimento che stabilisce «la stipula di contratti di prestazione d’opera per attività di insegnamento e di formazione nonché di addestramento nell’ambito delle attività laboratoriali e dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (Pcto) con soggetti del sistema delle imprese e delle professioni».

«Con l’inserimento dei privati anche nella programmazione dell’offerta formativa e con l’attivazione di percorsi quadriennali si crea una formazione di ridotta qualità – spiega la segretaria generale della Flc Cgil, Gianna Fracassi – si costruiscono “percorsi addestrativi”di serie B, indirizzati alle classi sociali svantaggiate. Un modello segregante e selettivo». E chiosa: «La riforma rappresenta l’avvio della privatizzazione del sistema pubblico di istruzione e della regionalizzazione dell’istruzione tecnica e professionale». Come nel caso analogo del Liceo Made in Italy, non si può dire che la sperimentazione abbia scaldato dirigenti e genitori. Hanno aderito solo 171 istituti tecnico professionali pubblici e qualche privato. Per un totale di neanche 2mila iscritti in tutta Italia.

Ma la Lega, partito che esprime il ministro, vuole di più, trasformare anche il Classico e lo Scientifico. Martedì il Carroccio ha presentato un disegno di legge per attivare anche i «Licei professionalizzanti». Una proposta su cui il centrosinistra promette battaglia. «È la fotografia di una maggioranza che non riconosce il valore degli apprendimenti, dando credito alla vulgata turbo-capitalista di una competenza umanistica poco utile nel mondo di oggi», sintetizza il M5s.

Anche l’Università non se la passa bene. Ieri la ministra Anna Maria Bernini ha risposto al question time, chiesto dai dem, sui tagli al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), ribadendo quanto già detto: il taglio sarebbe di «soli» 173 milioni di euro e non di 513, come denunciato da tutti gli organi degli atenei, a partire dalla Crui, e la responsabilità della spesa è dei rettori. «Lascia interdetti che Bernini parli di ‘autostrada a sei corsie’ riguardo i finanziamenti e che confonda mele con pere, sommando le risorse una tantum del Pnrr al Ffo», risponde il Pd, parlando di «negazione del problema». Intanto al ministero arriva Salvatore Cuzzocrea. L’ex rettore dell’Università di Messina, dimessosi lo scorso ottobre perché sotto inchiesta per i rimborsi e per abuso d’ufficio, è stato nominato da Bernini «consigliere del ministro dell’Università e della ricerca».