Il vaccino sperimentale scoperto all’università di Oxford e prodotto negli stabilimenti della Advent-Irbm di Pomezia verrà messo alla prova nel Regno Unito e in Brasile. In tutto, saranno coinvolti circa diecimila volontari, divisi in gruppi uguali nei due Paesi. È la prima volta che si sperimenta negli esseri umani l’efficacia di un vaccino contro il Covid-19. Finora, i test sull’uomo avevano riguardato l’assenza di effetti collaterali, mentre la capacità di prevenire l’infezione è stata verificata solo in studi sugli animali. A Oxford prevedono di avere i primi risultati già in autunno. La grande velocità con cui procedono le ricerche non dipende solo dalla competizione tra i circa cento vaccini candidati in fase di sviluppo: bisogna anche sbrigarsi perché se la pandemia si esaurisce, valutare il vaccino diventa impossibile.

L’EFFICACIA di un vaccino si misura somministrando il vaccino a un gruppo di volontari e confrontandone il tasso di infezione rispetto a un campione analogo non vaccinato. Per registrare una differenza significativa, la probabilità di contrarre il virus deve essere abbastanza elevata. Fortunatamente (ma non dal punto di vista di un’azienda farmaceutica) in molte aree l’ondata epidemica è in esaurimento. In Europa, solo il Regno Unito ospita un focolaio ancora abbastanza attivo. Così le aziende spostano le sperimentazioni in altre regioni. Purtroppo per i brasiliani, la pessima gestione della pandemia da parte del presidente Bolsonaro garantisce che lì il virus circolerà ancora per un bel po’, fornendo un terreno utile per la sperimentazione.

LA SCARSITÀ di contagiati è un problema tipico con cui si scontra lo sviluppo di un vaccino, perché allunga i tempi necessari per il reclutamento di un numero sufficiente di volontari e assottiglia le previsioni di mercato.

Il problema si era posto anche con la Sars nel 2003. Un vaccino sperimentale fu messo a punto e testato sugli animali. Ma quando si trattò di proseguire gli studi sull’uomo, il virus sparì rapidamente, portando a disinvestire nella ricerca di un vaccino senza prospettive immediate di profitto. Se le ricerche fossero proseguite, oggi forse saremmo più avanti nello sviluppo di un vaccino contro il Sars-cov-2, molto simile a quello della Sars.

LA STESSA COSA avvenne per il virus Ebola. Anche se un vaccino piuttosto efficace fu disponibile già nella fase finale dell’epidemia del 2014-2016 in Africa occidentale, la scomparsa del virus non permise di accumulare prove definitive della sua efficacia. Solo con l’ondata scoppiata nel 2018 nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo sono stati compiuti test su larga scala che ne hanno dimostrato l’utilità. Ma scoprire un vaccino non basta a sconfiggere un’epidemia: bisogna anche produrlo in milioni di dosi necessarie per raggiungere l’immunità di gregge. La limitatezza delle scorte ha limitato le vaccinazioni e impedito di debellare Ebola, di cui proprio in questi giorni è scoppiato un secondo focolaio nel Paese.

LA FRETTA DI RIPRENDERE la sperimentazione prima che finiscano i pazienti è anche alla base della marcia indietro dell’Oms sull’idrossiclorochina come terapia anti-Covid. La sua sperimentazione era stata fermata in tutto il mondo dopo uno studio pubblicato su Lancet in cui il farmaco sembrava aumentare la mortalità invece di diminuirla. Nei giorni scorsi molti ricercatori avevano rilevato incongruenze in quello studio, spingendo la stessa rivista Lancet a riesaminare la pubblicazione in vista di un probabile ritiro. Ma prima ancora di una decisione da parte della rivista, l’Oms ha già dato ordine di riprendere i test sull’idrossiclorochina.