Prima il via libera alle vaccinazioni dei cinquantenni, poi la lettera alle Regioni, sempre del generale Figliuolo, per accelerare ed aprire le immunizzazioni anche ai quarantenni – ieri la Regione Lazio ha risposto per prima lanciando un Open day AstraZeneca Over 40 che avrà luogo il 15 e il 16 maggio -, e già si sente parlare di un prossimo ok dell’Agenzia del farmaco europea alla somministrazione di Pfizer/BioNTech (ormai monopolista nella campagna italiana) anche nei 12-15enni. Eppure «nella fascia d’età compresa fra 70-79 anni è ancora scoperta una persona su quattro, e lo è una su due nella fascia fra 60 e 69 anni».

LO FA NOTARE la Fondazione Gimbe che chiede di passare alla chiamata attiva degli anziani perché, evidenzia nel report settimanale, se per gli over 80 solo il 9,9% (439.599) non ha ricevuto neppure una dose, ci sono ancora ben 1.548.525 (il 25,9%) di cittadini over 70 scoperti e addirittura lo sono ancora 3.650.078 (il 49,6%) degli over 60. Ossia: oltre 5,6 milioni di persone a rischio elevato di ospedalizzazione sono ancora totalmente senza alcuna protezione vaccinale.

Anche se qualche Asl ha effettivamente conseguito migliori risultati, in genere però la campagna per queste fasce d’età procede con «notevoli differenze regionali». Mediamente, solo il 77% dei 4,4 milioni di anziani con più di 80 anni è completamente immunizzato; fra gli oltre 5,9 milioni della fascia 70-79 anni solo il 18,1% ha completato il ciclo; degli oltre 7,3 milioni che hanno fra 60 e 89 anni, solo il 12,3% ha ricevuto anche la seconda dose; e infine ai soggetti fragili e i loro caregiver sono state finora somministrate 4.751.094 dosi.

IL PRESIDENTE della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, non nasconde la propria perplessità: «A fronte di percentuali così elevate di over 60 non ancora coperte dalla prima dose – afferma – da un lato si offre alle Regioni di aprire sino ai 40 anni per non rallentare le somministrazioni, dall’altro non si rendono noti i numeri di mancate adesioni e rifiuti selettivi di AstraZeneca, che hanno “costretto” ad estendere l’intervallo della seconda dose dei vaccini Pfizer e Moderna sino a 42 giorni con il solo obiettivo di supplire alla carenza di dosi di vaccini a mRna».

Inoltre, fa notare Cartabellotta, «al di là di ritardi e irregolarità delle consegne di AstraZeneca, finora Johnson & Johnson ha consegnato solo “briciole” e oltre 7 milioni di dosi CureVac (il nuovo vaccino tedesco a mRna, ndr) restano vincolate ai tempi di approvazione dell’Ema. In altri termini, tenuto conto anche del numero esiguo di dosi di Moderna, la campagna vaccinale in Italia è sempre più Pfizer-dipendente».

ANCHE PERCHÉ, come aggiunte la responsabile della Ricerca sui Servizi Sanitari di Gimbe, Renata Gili, i rallentamenti sono «influenzati dalla mancata somministrazione di 1.286.041 dosi di AstraZeneca. «Tenendo conto che l’uso preferenziale di questo vaccino è negli over 60, è inevitabile che i rifiuti influenzino la copertura vaccinale in questa classe d’età». Secondo la Fondazione, le scorte inutilizzate di questo vaccino vanno dal 4,7% del Molise al 46% della Sicilia.

IN UN’INTERVISTA a Radio Cusano Campus, Cartabellotta affronta anche il tema della moratoria sui vaccini spiegando che «la produzione purtroppo non dipende solo dalla disponibilità del brevetto. Moderna ha detto che da ottobre rinuncia alla proprietà intellettuale, ma nessuno si è messo a produrre quel vaccino. La liberalizzazione del brevetto non significa cessione del know-how, delle procedure, delle attrezzature – sottolinea – La cosa che sfugge è che non è che i vaccini si possono fare simili, devono essere uguali, devono avere gli stessi standard di qualità e sicurezza. La soluzione ideale oggi è che le case farmaceutiche facciano accordi con altre industrie, mandando il personale per insegnare gli step di produzione e fare la produzione in conto terzi. Nel breve periodo questa è la soluzione».