Nella competizione geopolitica della diplomazia dei vaccini, l’Europa, messa con le spalle al muro dall’inattesa proposta di Joe Biden sulla liberalizzazione dei brevetti, fa fronte comune e ribatte dopo una cena durata più di tre ore a Porto venerdì sera (con Merkel, l’olandese e Rutte e il maltese Abela collegati via video): il presidente Usa deve precisare come intende procedere, la Ue è «pronta a discutere quando proposizioni concrete saranno messe sul tavolo – ha precisato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel – ma a breve non credo sia l’elemento magico» per risolvere la mancanza di vaccini.

«A breve termine levare i brevetti non risolverà i problemi, non porterà una dose in più di vaccino» ha aggiunto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Dopo qualche ora di confusione, la Ue ha reagito con unità, chiedendo agli Usa (e alla Gran Bretagna) di esportare prima di tutto, come hanno fatto gli europei, 200 milioni di dosi spedite, il 50% della produzione degli ultimi mesi, altre 600mila promesse ai Balcani, mentre da Washington e da Londra non è uscito un solo vaccino, hanno ripetuto Emmanuel Macron, Mario Draghi e molti altri (e la Ue ha annunciato una nuova ordinazione di 1,8 miliardi di dosi Pfizer da quest’anno al 2023). «Come europei non dobbiamo ricevere lezioni», ha affermato il belga Alexander De Croo, per Macron «la chiave per produrre più in fretta vaccini per i paesi poveri e intermediari è produrre di più». La sospensione dei brevetti sarà «la risposta quando ne avremo prodotti sufficientemente» ha aggiunto il presidente francese, che invita a «non mettere il carro davanti ai buoi». Angela Merkel ha messo in guardia: «Attenti a non dare vantaggi alla Cina».

A Porto c’è stato anche il video-vertice con l’India: con New Dehli dal 2007 al 2013 si sono trascinati dei negoziati per un trattato di libero scambio, che non ha visto la luce, ieri è stata conclusa una partnership per aumentare la “connettività”, elemento-chiave nel nuovo mondo post-Covid (cooperazione nel digitale, energia e trasporti), mentre la Ue sta esprimendo concreta solidarietà con l’invio di materiale medico.

Per definire le direzioni di questo nuovo mondo, oggi a Strasburgo, di fronte al Parlamento europeo, viene lanciata l’iniziativa per una Conferenza sull’avvenire dell’Europa: dal 19 aprile è già aperta una piattaforma digitale dove i cittadini possono contribuire con le loro idee, il processo si concluderà nel marzo 2022, sotto presidenza francese del Consiglio. In tutta Europa ci saranno panel di cittadini, assemblee, consultazioni, per costruire un processo, che dovrebbe concludersi con un’assemblea plenaria. Ma i contorni di questa assemblea sono ancora vaghi, riemerge qui la rivalità tra democrazia rappresentativa (il Parlamento europeo) e democrazia partecipativa (convenzioni di cittadini). Sta di fatto che di fronte al terremoto causato dal Covid la Ue è già cambiata: ieri, Ursula von der Leyen ha di nuovo fatto appello ai paesi in ritardo a votare il Recovery Plan, per poter cercare sul mercato i 750 miliardi del piano (la Finlandia è il paese più reticente, l’approvazione dovrà essere a maggioranza qualificata).

Nella Dichiarazione di Porto è stato precisato lo «zoccolo europeo dei diritti sociali», per un’eguaglianza tra lavoratori e di genere, anche se restano le divisioni sul salario minimo: al centro, la necessità per tutti i lavoratori in questa fase di mutazione di avere accesso alla formazione lungo tutta la vita, l’aumento del tasso di occupazione al 78% e la lotta alla povertà, con l’obiettivo di far uscire dalla miseria almeno 15 milioni di persone entro il 2030. «Nel 2017 a Götheborg erano stati approvati 20 principi-chiave, ora siamo passati al piano di azione» ha affermato il primo ministro portoghese, Antonio Costa.