Arriva a conclusione un progetto partito lo scorso anno che ha visto impegnarsi due stabili (Emilia Romagna Teatro e il Teatro di Roma) e incentrato su condizioni, aspettative e disillusioni che può procurare oggi l’idea stessa di Europa. Il caso e il calendario portano ora alla ribalta romana, proprio alla vigilia delle elezioni del prossimo 25 maggio e dell’imminente semestre europeo a presidenza italiana, questa sorta di musical/varietà dall’impegnativo titolo minoico/cretese (o forse barocco, o chissà) Il ratto d’Europa (all’Argentina fino a domenica 11). Sottotitolo non meno impegnativo «per una archeologia dei saperi comunitari»: ma quello che si vede in palcoscenico risulta, con tutta onestà, ben piccola cosa. C’è una lieta brigata di attori giovani e giovanissimi, scattanti se non scalmanati, che partendo dal racconto delle mitologie antiche (con qualche confusione eccessiva tra quella greca e quella romana), giunge a una fatidica «sfida internazionale», che vorrebbe rendere ironica la riproposizione dei vecchi Giochi senza frontiere di televisiva memoria. Ma è risaputo che il contatto con l’oggetto massmediologico per farne satira, è assai rischioso, e anche il più benintenzionato finisce col restarne vittima. Come anche lo spettatore (chi scrive confessa di essersi arreso dopo i primi 90 minuti, temendo gli altrettanti successivi); qualche studente nel pubblico rideva, altri mostravano tangibile estraneità.

È forse che la poliedrica performance ideata e allestita da Claudio Longhi tenta di trovarsi una strada positiva tra l’antieuropeismo fascistoide della Lega e dei reazionari alla Madame Le Pen, e il terrorismo catastrofista di Beppe Grillo, che ogni giorno ci dilagano addosso, sgomitando contro la corsa-a-ostacoli-da-fermo di Renzi e la retorica «continental» (alla Wanda Osiris) di altri politici residuali. La compagnia del Ratto d’Europa racconta di aver lavorato duramente in questi due anni: centinaia di incontri e confronti, di approfondimenti e riunioni con moltissime realtà del paese. Ma al risultato finale quello che manca è proprio una conduzione drammaturgica degna di questo nome, una idea guida che sia in grado di rendere più omogenei e meno dispersivi quei materiali così disparati.

Ma appena fuori del teatro, guardando la bella e severa facciata dell’Argentina, il pensiero corre alle emergenze concrete dell’immediato. Proprio il giorno del debutto del Ratto, è filtrata l’avvenuta scelta, da parte del sindaco Marino, del futuro direttore del teatro.

Si tratterebbe, rispetto alla quaterna arrivata all’ultima selezione, di Antonio Calbi, attualmente al vertice della gerarchia teatrale del comune di Milano. Non è probabilmente la scelta migliore, visto che l’alto funzionario non ha grande pratica di produzione e coordinamento di un insieme teatrale. E neanche di invenzione: la sua unica esperienza di direzione proprio al romano Teatro Eliseo diede frutti contraddittori, in palco e al botteghino. Oltre al fatto di non poter conoscere la complessa realtà delle molte scene romane (e a non voler ricordare il suo primo ingresso a Palazzo Marino, su «chiamata diretta» della Moratti sindaca e di Sgarbi assessore). Ma tant’è: il problema è semmai con chi prendersela per questa nomina; chi se ne sia fatto mallevadore presso il sindaco, che certo non conosceva direttamente i candidati, e non sarà andato al buio o a caso. Insomma sarebbe bello sapere chi governa Roma, perché mettendo insieme tasselli diversi l’effetto d’insieme è inquietante, quasi un romanzo di gotico malaffare.

Raccontano in molti che per Calbi si siano impegnati molti signore e signori della politica, faccendieri e faccendiere dall’aspetto elegante e dagli scrupoli assenti al contrario del personale arrivismo: si narra che la partita romana sia addirittura incrociata a quella del Piccolo milanese, alla cui direzione Calbi non ha mai nascosto di ambire, e per fortuna non aspira al soglio di Pietro… Di area, tutti questi convitati di pietra, del Pd romano. I cui vari «spicchi» sarebbero stati soddisfatti con le altre iniziative «culturali« che in questi giorni sono stati resi pubblici ed emanati dalle amministrazioni: la fondazione RomaEuropa è entrata tra le istituzioni pubbliche della regione Lazio con un portafogli che sarà certo rilevante; e anche la Festa del cinema (come ha scritto su questo giornale Cristina Piccino l’altro ieri) ha avuto una solida iniezione di danaro dallo stesso ente. Non è un best seller di Dan Brown, e nemmeno una severa inchiesta sullo Ior, ma certo non è proprio un modello di politica «confidenziale«.

Almeno rispetto ai cittadini, e agli elettori. Ecco perché non è solo Europa la vittima del rapimento divino.