Oggi è l’anniversario della strage di Ustica. Trentatre anni fa, il 27 giugno 1980, poco prima delle 21, il Dc 9 Itavia in volo da Bologna a Palermo sparì dagli schermi radar con il suo carico di 77 passeggeri e 4 componenti dell’equipaggio. Una mezza dozzina di centri di controllo del traffico aereo vide e capì immediatamente che il jet era stato coinvolto in un’azione militare. Lo capì perché da almeno mezz’ora prima della tragedia, quegli stessi controllori dei cieli si erano resi conto che il volo civile non era solo, lassù a 9.000 metri d’altezza, ma era accompagnato da un secondo aereo non dichiarato che si nascondeva sulla sua traccia radar.

Videro e tacquero, gli uomini del controllo radar, nonostante avessero preso un impegno con il paese di proteggere i cieli nazionali e di garantire la sicurezza dei viaggiatori. Videro, tacquero e  poi agirono in modo da impedire che l’autorità giudiziaria accertasse le responsabilità del disastro.

Così è riassunta in modo forse troppo popolare. Ma è la sintesi di una sentenza poco conosciuta, e di certo poco scandagliata, che la giudice Paola Proto Pisani del tribunale civile di Palermo ha emesso il 10 settembre 2011 liquidando circa 100 milioni di risarcimento danni a un gruppo di familiari delle vittime. Per inciso, vale la pena di  sapere che l’appello di questa causa è stato messo in calendario per il 2014 e che nel frattempo lo Stato ha ottenuto ciò che ai comuni cittadini è negato, cioè la sospensione del pagamento.

Il fatto è che la giustizia civile, in questo caso, sembra essere riuscita a dare una risposta laddove la giustizia penale ha finora arrancato, o persino fallito per motivi indipendenti dalla volontà dei giudici. Molti considerano questa realtà come un segno della schizofrenia giudiziaria. Meglio sarebbe invece considerarla un’opportunità aggiuntiva.

Innanzitutto, bisogna accettare l’idea che il giudice civile non è ingabbiato dalle sentenze penali collegate alle cause che è chiamato a trattare e, d’altra parte, può utilizzare nelle sue decisioni il materiale probatorio proveniente da quelle stesse inchieste penali. Nel caso particolare, sono state riversate nella causa civile di Palermo tutte le ordinanze, le sentenze, le perizie, le consulenze e persino le conclusioni delle varie commissioni ministeriali che, in trent’anni, hanno costruito il fascicolo di Ustica.

Gli standards di certezza probatoria esistenti tra il processo penale e  quello civile sono differenti. Anziché quello “oltre il ragionevole dubbio”, il giudice civile può limitarsi ad applicare il “criterio della probabilità prevalente”, come ha stabilito la Cassazione (sentenza 10285/2009 su una fattispecie relativa proprio a Ustica). Con questo criterio, Proto Pisani ha deciso che la probabilità prevalente propendeva per l’evento esterno, di tipo militare. E che i ministeri chiamati in causa, i cui ufficiali quell’evento avevano rilevato pur non potendone attribuire la paternità, “avrebbero dovuto garantire l’assenza di ostacoli alla circolazione aerea e/o di altri velivoli lungo la rotta assegnata al DC9, e comunque adottare misure idonee a prevenire l’incidente, ad esempio non autorizzando il decollo del DC9 o il volo sulla solita rotta o assegnando altra rotta per il volo di quel giorno”.

In secondo luogo, si è rifatta alle disposizioni del codice in base alle quali “la prescrizione rimane sospesa tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore finché il dolo non sia stato scoperto”. Quanto al risarcimento, va considerato a carico dei ministeri che erano responsabili della sicurezza dei cieli (difesa, trasporti, interni e presidenza del consiglio) poiché “la responsabilità della PA, al pari di quella delle persone giuridiche di diritto privato, per le condotte materialmente poste in essere dai suoi dipendenti si configura come responsabilità diretta”.