L’anniversario della tragedia intitolata al Dc 9 Itavia e alle sue 81 vittime, lo scorso 27 giugno, ha messo in evidenza forse per la prima volta l’importanza delle pronunce civili in una causa che, sotto il profilo penale, ha dovuto scontare un lungo elenco di handicap che si possono riassumere con le difficoltà oggettive a reperire prove su un evento accaduto a 9 mila metri di altitudine e in mezzo al mare, con investigatori poco avveduti, magistrati inizialmente poco accorti, fonti e testimoni reticenti o addirittura falsi, consulenti infedeli, autorità politiche quantomeno pusillanimi di fronte ad alleati omertosi.

In realtà, le sentenze civili non sono di ieri. La prima e perciò di orientamento arriva nel 2009 dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione che rinvia in corte d’appello, a Roma, una sentenza assolutoria per i ministeri difesa e trasporti, su ricorso dell’Itavia.

L’anno successivo è il turno della corte d’appello di Palermo che condanna i citati ministeri a risarcire per circa 1 milione e 400 mila euro alcuni familiari delle vittime (non tutti). E’ questa la sentenza che, portata in Cassazione dall’avvocatura dello stato, è stata confermata lo scorso gennaio.

Nel frattempo, nel 2011, il tribunale di Palermo ribadisce i filoni già evidenziati nella pronuncia di legittimità del 2009, vale a dire che il cosiddetto pregiudizio penale è stato cancellato dalla legge, che il giudice civile è indipendente dai suoi colleghi penali, che è legittimato a formarsi un proprio, e se del caso differente, convincimento. Questa pronuncia concede ai familiari oltre 100 milioni di euro in risarcimento. L’esecutività della sentenza è stata sospesa su richiesta dell’avvocatura dello stato per la consistenza della somma.

In altre parole, si teme che i familiari delle vittime possano non essere in grado di restituire la cifra nel caso, successivamente, la sentenza fosse annullata.

E’ bene che tutti ricordino questo passaggio, prima di applaudire Enrico Letta che ha annunciato la disponibilità dello stato a onorare la sentenza sì, ma solo quella che dispone il risarcimento meno oneroso.

A titolo di completezza, vale la spesa di citare un ulteriore passo compiuto dai familiari, presso le istituzioni europee. L’avvocato Daniele Osnato, insieme ad Alfredo Galasso e Daria Bonfietti, ha inviato, nel 2012, una petizione alla omonima Commissione di Bruxelles sollecitando sia una più decisa pressione dell’Europa su quegli stati membri, Francia in primis, che non hanno risposto in modo completo alle rogatorie della magistratura italiana, sia l’istituzione di una commissione d’inchiesta europea.

La Commissione per le Petizioni, presieduta da Erminia Mazzoni (Pdl) si è mossa secondo le proprie prerogative e ha scritto alla vicepresidente della Commissione Europea, Catherine Ashton, segnalando appunto la sentenza della Cassazione di gennaio. Nelle more della discussione, è emerso fra l’altro che l’Italia non ha ancora ratificato la convenzione del 29 maggio 2000 relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli stati membri dell’Unione europea, che è in vigore e attualmente vincolante in 24 stati membri dell’UE. Tuttavia, lo scorso aprile, Ashton ha dichiarato che “le delegazioni della U.E. sono pronte a cooperare con le autorità italiane che si occupano del caso”. Ancora più netta Erminia Mazzoni, da noi contattata: “La cooperazione giudiziaria è uno dei pilastri fondamentali della dell’Unione europea. Il rifiuto delle autorità francesi o inglesi di dare le informazioni richieste dai magistrati italiani per ricostruire la verità é una violazione del vincolo comunitario”.