Forse nessun artista prima di Wagner aveva avuto una influenza altrettanto forte sull’anima di un intero continente, in ogni suo aspetto, musicale, letterario, teatrale, figurativo, filosofico, persino politico: non a caso, Friedrich Nietzsche ne parlò come del «Cagliostro della modernità». Oggi appare lontana, perché strappata a noi dal solco che la Seconda Guerra Mondiale segnò nell’animo europeo, l’epoca in cui a Bayreuth si andava in pellegrinaggio come a Delfi si andava a consultare l’oracolo.

L’intera Europa era incantata dai sortilegi dei drammi di Wagner, intere tradizioni nazionali ne vennero sconvolte, generazioni si ritrovarono in conflitto. Se travolgente fu la fascinazione, altrettanto violento fu il rifiuto, anche in Italia. E se Il fuoco di D’Annunzio è, nel 1900, uno dei più grandi epicedi letterari europei del genio tedesco, quattordici anni dopo Filippo Tommaso Marinetti si lancia nel celebre «Abbasso il tango e Parsifal!». Proprio dal titolo di quel manifesto futurista ha tratto ispirazione un convegno romano organizzato nell’ottobre 2018 dall’Istituto italiano di studi germanici: chiedendo agli autori di rielaborarne e ampliarne gli atti, ora Pier Carlo Bontempelli e Oreste Bossini hanno messo insieme un volume straordinariamente interessante – Abbasso il Tango e Parsifal! Wagner in Italia 1914-1945 (Istituto Italiano di Studi Germanici, pp. 368, e 30,00).

Anche a fronte di una bibliografia wagneriana sterminata, il volume si dimostra saturo di contenuti inediti e articoli sorprendenti: tra i numerosi saggi, quello di Oreste Bossini che, tornando sul tema abusato dell’antisemitismo di Wagner, riesce, tuttavia, facendo parlare fonti non conosciute e dimostrando un grande approfondimento del contesto storico, a far piazza pulita di ogni luogo comune, tracciando un quadro inconsueto: vediamo Wagner non solo dichiararsi pubblicamente nemico di ogni politica espansionista e imperialista della Germania, disprezzare la manifestazione di forza bismarckiana, temere le istanze annessioniste della Grande Germania, ma ne annotiamo anche il rigoroso rifiuto di firmare la petizione antisemita di Bernhard Förster, marito della sorella di Nietzsche.

Due saggi – di Pier Carlo Bontempelli e Andrea Camparsi – sono dedicati a Max Koch, critico letterario tedesco, wagneriano convinto, del quale è conservato nella romana Villa Sciarra, un fondo librario. A quella figura affascinante e ambigua che è stato Guido Manacorda, autore delle traduzioni di tutti i drammi di Wagner, Elisa D’Annibale dedica un ritratto che ne restituisce la singolare figura di germanista, cattolico – «mistico di Ripafratta» lo sbeffeggiava Giovanni Gentile – che fa da tramite diretto tra il Duce e Adolf Hitler, illudendosi di poter depurare il nazionalismo dall’elemento di razzismo neopagano.

Fra gli altri contributi, il profilo del critico Beniamino dal Fabbro, curato da Maurizio Giani; la storia delle esecuzioni wagneriane in Italia, ricostruita da Guido Salvetti, che mette alcuni punti fermi sulle traduzioni italiane dei drammi; l’inventario ragionato, a cura di Angelo Foletto, delle grandi direzioni italiane (Toscanini, De Sabata, Marinuzzi, Guarnieri, Serafin, Gui, fra gli altri). Registi e scenografi al lavoro in Italia fra le due guerre sono al centro della ricognizione di Marco Targa, mentre – lasciandosi alle spalle la querelle tra Boito e Verdi sul valore salvifico di Wagner per le sorti della musica italiana – Gregorio Moppi ne analizza gli influssi sulla cosiddetta «generazione dell’Ottanta» e sulla Giovine Scuola verista. E Cesare Orselli, attraverso una disamina puntuale, ridimensiona l’influsso dei drammi wagneriani sulla concezione operistica italiana postverdiana, analizzando in particolare l’opera di Umberto Giordano.