Anche la favola di Barry Lopez (1945-2020) è giunta al capolinea. Arriva un punto nella propria personale parabola esistenziale che tutti o quasi i riferimenti che da ragazzo avevano nutrito la tua immaginazione, che erano finiti per condensare la tua stessa identità, fatta dei film che ami, dei filosofi e dei poeti che leggi e ammiri, dei pittori favolosi, dei musicisti che ascolteresti senza interruzione di continuità per giorni e giorni, e li ascolti, così come le tante persone sagge che incontri nel comporsi della vita di ogni giorno, semplicemente escono di scena.

DA UN MONDO DI VIVI esuberanti e stralunati nel quale sei un piccolo rampicante pieno di voglia e di interessi, di slanci, ti ritrovi, due, tre decenni dopo, a guardare un deserto di lapidi, un mausoleo di opere abbandonate. Certo, ci si può appoggiare alla finzione dell’eternità emotiva e affettiva, alla gratitudine di coloro che restano e che se un’opera è amata il suo autore, o la sua autrice, non muore mai, ma, una differenza sostanziale c’è, se la persona la puoi incontrare, ci puoi discutere, gli puoi offrire un caffè, un te, e quando invece, ad andar bene, puoi portare sulla sua tomba un fiore o visitare qualche luogo dove «è stato». Poche storie.

QUANDO SI DIFFUSE la notizia, lo scorso natale, della morte di Lopez ho subito pensato al caro Davide Sapienza, che da qualche tempo mi parlava del desiderio di tornare sulla costa pacifica degli Stati Uniti, per raggiungere la località in Oregon dove Barry Lopez viveva. A me l’Oregon ricorda sempre quella piccola enclave boscosa a nord della California che avevo sfiorato attraversando l’intero stato, arrivando alla cittadina di Crescent City, per poi ripiegare all’interno fra i grove di sequoia semprevirens del Jedediah Smith Redwoods State Park.

O LA CITTADINA DI PORTLAND da dove veniva quel cantante malinconico di Elliott Smith (1969-2003). Sapienza ha curato la selezione di testi Una geografia profonda. Scritti sulla terra e l’immaginazione (Galaad) e il memoir Frammenti di cielo (Feltrinelli Zoom). La stampa italiana, lo sappiamo, tende sempre a magnificare la grandezza di chi se ne è appena andato, e infatti la notizia della sua scomparsa è stata accompagnata da frasi fatte e iperboliche come «il più grande narratore americano contemporaneo di natura e paesaggi», ma insomma, per fortuna queste sono categorie e assolutismi beffardi.

CERTO, BARRY LOPEZ è stato un grande autore, un naturalista, una penna raffinata, ma «il più grande» non esiste, e poi, oltremodo, quella parte di mondo che è il Nordamerica offre tanti «autori innaturati», con profonde radici immerse nei vasti paesaggi, nei parchi, nelle riserve, nelle foreste, nei deserti, negli oceani. Barry Lopez certo, ma anche il compianto Peter Matthiessen, o il poeta laureato del selvatico Gary Snyder, giusto per citare altre cime.

PER CHI FOSSE INTERESSATO alla sua bibliografia disponibile nelle librerie si segnalano Sogni artici (Dalai), Lupi e uomini (Piemme), i due titoli curati da Sapienza e la più recente selezione, Attraverso spazi aperti (Black Coffee). Altri titoli pubblicati in precedenza risultano fuori catalogo. Le Edizioni Black Coffee di Firenze sono una giovane casa editrice vocata alla letteratura nordamericana contemporanea. Attraverso spazi aperti abbraccia quattordici saggi, la traduzione è di Sara Reggiani e l’introduzione del poeta laureato Robert L. Hass.

SCORRENDO L’INDICE mi attraggono alcuni titoli: Ritorno alla terra, Familiarizzazione con l’ambiente e Bambini nei boschi. Mi concentro su quest’ultimo. Nella prima pagina incontro una descrizione dell’ambiente che circondava la sua abitazione remota: «Vivo in una foresta pluviale nell’Oregon occidentale, sulle sponde di un fiume che scorre in una campagna relativamente aperta, circondato da abeti di Douglas alti quarantacinque metri, delicate calipso e radure dove crescono le bacche selvatiche. Condivido questo spazio con il topo dai piedi bianchi e il cervo mulo, il visone e il coyote.»

BARRY E MOGLIE NON AVEVANO figli ma diversi bambini di amici e conoscenti andavano da loro e si facevano accompagnare in natura. Come molti di noi sanno quell’iniziale vanità dello sciorinare le piante e le specie animali coi nomi latini, gli ordini, le famiglie, le varietà, finisce per interessare soltanto quei pochi che forse, in futuro, avranno a che fare con professioni inerenti, ma la maggior parte delle persone, e pure dei bambini, ascoltano ma dimenticano in un attimo. Quel che interessa non sono i nomi, ma i rapporti, le relazioni che legano gli animali, gli alberi, i fiumi, gli insetti tra di loro, come dipendono o si sfruttano le diverse presenze del bosco.

LE PRIME VOLTE LOPEZ parlava e descriveva, col passare degli anni si è fatto sempre più silenzioso: «La porta che apri a un bambino chiamando per nome ogni cosa che vedi è piccola, e conduce in una piccola stanza. La porta che invece conduce nella cattedrale è segnata dall’esitazione, dall’assenza di parole e corre in suo aiuto l’esempio che affina i sensi. Se proprio devi parlare, fà che sia per dire che meraviglia è far parte di tutto questo, e che pace profonda e duratura deriva da una tale consapevolezza». Uscire dunque dalle nostre case, dalle nostre dipendenze tecnologiche e andare, perdersi, fra anatre, cormorani, balene, ululati di lupi, rocce, resti di chiese oramai compromesse.