Ursula contro il Lupo. Sembra il titolo di un film mitologico degli Anni ’60 e invece riassume quanto sta accadendo in Europa da quando la Presidente della Commissione Europea von der Leyen ha dichiarato guerra ai lupi perché uno di questi avrebbe ucciso il suo pony Polly. La realtà è più prosaicamente legata a vicende elettorali. Il voto europeo si avvicina, la von der Leyen è alla ricerca della riconferma e parte del suo partito vorrebbe un europarlamento con una maggioranza diversa, più spostata a destra. Ci sono poi da accontentare gli agricoltori, da sempre tra le categorie più sovvenzionate dall’Unione Europea: nel 2021, su un bilancio totale di circa 168 miliardi di euro, l’Unione ne ha destinati all’agricoltura più di 55.

Si spiegano così le inversioni di rotta del Partito Popolare Europeo negli ultimi mesi contro il Green Deal: con la volontà di andare incontro alle richieste delle grandi associazioni agricole e delle multinazionali dell’agroindustria (sempre più alleate a scapito dei piccoli produttori) il primo partito europeo sta facendo clamorosi passi indietro sulla transizione ecologica. E così la settimana scorsa, la Presidente della Commissione ha proposto di declassare da specie «rigorosamente protetta» a specie «protetta» lo status del lupo nella Convenzione di Berna, la più antica al mondo nel campo della conservazione della natura che, entrata in vigore nel 1982, ha portato all’adozione della Direttiva Habitat, pietra miliare dei programmi di conservazione europei.

La scelta del declassamento apre la strada agli abbattimenti e mette a rischio gli sforzi di conservazione degli ultimi decenni che hanno permesso la ripresa numerica e spaziale delle popolazioni di lupo in molti Paesi europei.

Si sta così deliberatamente sacrificando il grande lavoro compiuto da istituzioni, associazioni ed enti di ricerca, individuando nel lupo il capro espiatorio dei problemi socioeconomici delle comunità rurali e del settore zootecnico.

Una vera e propria inversione nelle politiche di conservazione che fino a oggi hanno caratterizzato l’Unione Europea, ma anche una scelta contraddittoria rispetto a quanto sostenuto nel novembre 2022 quando fu proprio l’Unione a respingere il tentativo della Svizzera di declassare lo status di protezione del lupo, sottolineando il mancato raggiungimento di uno stato di conservazione favorevole nella maggior parte degli Stati membri.

Un ripensamento ingiustificato se si considera che proprio la scorsa settimana la Commissione ha pubblicato uno studio sui lupi che non ha fornito alcuna prova scientifica che lo stato della popolazione sia cambiato in modo significativo nel giro di un anno.

La stessa opinione pubblica, come rileva una recente indagine sulla percezione delle comunità rurali riguardo la coesistenza con i grandi carnivori, non è favorevole agli abbattimenti: il 68% degli abitanti delle zone rurali ritiene che i lupi debbano essere rigorosamente protetti e il 72% concorda sul fatto che abbiano il diritto di coesistere con l’uomo e le sue attività.

Del resto, in diverse regioni europee la coesistenza tra lupo e attività umane è da anni una realtà grazie a misure preventive efficaci, come l’installazione di recinzioni e l’utilizzo di cani da guardiania.

L’Unione Europea consente di risarcire agricoltori e allevatori per i danni causati da specie protette come il lupo e di rimborsare gli investimenti per le misure di prevenzione: anche il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) fornisce sostegni alla coesistenza, ma molti Paesi non hanno sfruttato questa opportunità di finanziamento.

Ora la palla passa agli Stati membri. Per approvare la proposta della Commissione di modificare la Convenzione è richiesta una maggioranza qualificata. All’inizio del 2023, dodici Ministri dell’ambiente manifestarono al Commissario all’ambiente Sinkevi’ius la netta contrarietà all’indebolimento della protezione del lupo: è necessario mantenere questa posizione così da respingere la proposta della Commissione.

Quanto all’Italia sul tema si registrano la cronica assenza del ministero dell’ambiente e il protagonismo del ministero dell’agricoltura: e con il ministro Lollobrigida al comando, c’è poco da essere allegri.