Il cinema di Ursula Meier, cui il BFM dedica una retrospettiva completa, si regge su una scrittura controllata che dinamizza lo spazio e il tempo. Se in Home (2008) le due dimensioni vengono sottoposte a una tensione crescente che finisce per farle esplodere, nel più recente La ligne (2022) assistiamo a un movimento contrario che dalla deflagrazione iniziale percorre una difficile traiettoria di ricomposizione. A suo modo anche Sister (2012) mostrava lo sfrangiarsi e il riannodarsi di un ordine sociale riflesso nella struttura urbana alto/basso, ricco/povero, sogno/realtà che il piccolo Simon/Julien tentava di scompaginare. A scoppiare spargendosi in frammenti sono equilibri sociali, relazioni, famiglie, personaggi in rotta di collisione con il mondo, sfiniti dalla tensione verso i limiti estremi dei propri sogni d’amore e di riconoscimento. Nell’interessante film per la tv Des épaules solides (2002), un’atleta adolescente si batte con le possibilità del proprio corpo, contro le norme della femminilità e della mascolinità, contro l’autoritarismo del suo allenatore, interpretato da Jean-François Stévenin, che la lega a sé con un cordone elastico per gli esercizi di corsa trattenuta: «le altre le devo spingere, te invece ti devo sempre frenare». La frena per proteggerla? Per potenziarne il fisico? Per tarparle le ali?
Sin dai primi lavori di Meier quali il corto Le songe d’Isaac (1994) e il doc Autour de Pinget (1999), l’infanzia e l’adolescenza sono figurazioni metaforiche, chiamano in campo (talvolta lunghissimo, altre strettissimo) il furore di un’età inquieta che corre verso l’ignoto e si domanda: dove sto andando? È la direzione che desidero? Arriverò da qualche parte? Mi farò male? Talvolta il corpo rimbalza su una parete di tappeti elastici, altre volte collide e si ferisce contro un pugno o una vetrata, altre ancora si libra infinitamente nel paesaggio. In occasione dell’omaggio a Bergamo abbiamo dialogato con la regista sul rapporto tra l’infanzia come età e come luogo dell’immaginario.

Nel suo cinema ricorre, come fosse un ricordo d’infanzia o una scena primaria, l’immagine di bambini che giocano su un prato o una collina: da dove proviene?
Amo filmare i paesaggi pieni dell’innocenza e dell’energia delle presenze infantili. È per me il territorio di tutti i possibili. È una raffigurazione delle ragioni per cui faccio cinema, di quello spazio che mi si è aperto di fronte quando ho scoperto il cinema e ho iniziato a studiarlo dopo aver avuto difficoltà ad adattarmi ai vincoli del sistema scolastico. Il cinema mi ha davvero salvata, liberata, e quando filmo ritrovo in me quella dolce follia, le fotografie che scattavo dei paesaggi ampi e disabitati, delle no man’s land alla frontiera tra Francia e Svizzera tedesca in cui sono cresciuta, che non appartenevano a nessuno se non all’immaginario, il loro mistero mi faceva sognare. A volte filmare mi permette di far riemergere immagini inconsce, ricordi sepolti. Sister, per esempio, è nato da un’idea che mi è venuta in treno: «un bambino ruba in una stazione sciistica». Solo finendo di scrivere la sceneggiatura mi sono ricordata che quando gareggiavo, da piccola, l’allenatore ci aveva messi in guardia da un ragazzino così.

Ci sono anche dei film tra le sue memorie d’infanzia?
Quando avevo dodici anni a scuola ci hanno fatto vedere Quarto potere e sono rimasta affascinata. In un certo senso il mio primo documentario, Autour de Pinget, l’ho costruito sullo stesso principio del «rosebud» poiché «Chalune», che lo scrittore sceglie come pseudonimo, era la montagna della sua infanzia che mi permette di far rivivere tutto un universo. Mi piaceva il contrasto tra lui bambino che corre gioioso e l’uomo schivo, lo scrittore un po’ cupo che poi è diventato. Figurarsi che le sequenze di repertorio sono emerse solo dopo la sua morte, grazie al fratello che me le ha mostrate mentre Pinget negava esistessero. Quel film è stata una grande avventura cinematografica, ricca di coincidenze e sorprese.

Dal canto loro gli adulti, spesso irrisolti, sembrano lasciare ai bambini dei vuoti da colmare
Da questi vuoti emerge la loro forza di vivere e sopravvivere. In Sister è chiaro: c’è un bambino che ha capito come funziona il sistema capitalista, tra allocazione delle risorse, investimenti e profitti, e lo usa per tentare di sopravvivere sia economicamente sia affettivamente finché non infrange, con il tradimento, i codici sociali della borghesia che quindi lo emargina. Mi interessa tutto quel mondo di invenzioni, di strategie immaginate dai bambini per sopravvivere.

I campi lunghi si alternano a campi strettissimi come se il suo cinema si ponesse incessantemente il problema della distanza che ci separa come esseri umani ma anche della distanza a cui è giusto filmare
È il fulcro de La ligne, risultato di un percorso di riflessione e stilizzazione progressiva del concetto di distanza nel passaggio dalla scrittura all’immagine. Mi sono sempre interrogata sulle frontiere e qui l’invisibile diventa visibile, misurabile. È un film costruito su regole precise e su domande visive: come si rappresenta una distanza di sicurezza di 100 metri? Con Agnès Godard abbiamo cercato le focali giuste, la posizione della mdp anche tenendo conto che è un film girato in pieno covid in cui la distanza si raccontava e si viveva in una strana mise en abyme tra il dentro e il fuori dallo schermo.

Cosa la spinge a contaminare i suoi documentari con elementi che debordano nella finzione?
La differenza tra documentario e film a soggetto sono gli attori ma anche quando ho a che fare con persone vere mi metto subito a fantasticare. Per esempio, il poliziotto di Pas les flics, pas les noirs, pas les blancs… (2002) per me era un vero personaggio da film di James Gray con tutti i suoi travagli, il suo passato. Quel film l’ho fatto per confrontarmi con le mie paure: lui era stato militante di estrema destra, razzista, fissato con l’ordine. La preparazione è durata un anno, dovevo permettergli di abituarsi alla mdp e volevo avere fiducia in lui, capirlo ma anche metterlo a nudo. Ecco perché lo filmavo regolarmente mentre si spogliava. Nel frequentarlo ho capito che spesso la violenza è una risposta alla paura, anche lui quindi come me aveva avuto paura.

Parlando di attori: che ricordo ha di Jean-François Stévenin?
Da ragazza in camera mia avevo due poster, uno di Pierrot le fou, con Belmondo in blu, e l’altro de Gli anni in tasca con Stévenin e i bambini. Quest’ultimo ce l’ho ancora a casa e mio figlio durante il lockdown, quando non aveva nessuno con cui parlare, si rivolgeva ai personaggi del film di Truffaut. Jean-François è stato un grande amico, di più, un angelo custode, per questo la sua morte è stata difficile da accettare. Quando ho fatto Des épaules solides ero un’esordiente e mi avevano detto che sarebbe stato difficile coinvolgerlo invece l’ho chiamato e ci siamo capiti. Al primo giorno di riprese ho avuto un momento di crisi, ho pianto e mi vergognavo di perdere autorevolezza agli occhi della troupe. Lui mi ha consolata invitandomi a non nascondere le mie emozioni. Non era solo un grande attore ma anche un regista con un fortissimo desiderio di cinema.

A cosa sta lavorando ora?
Ho ripreso in mano un progetto «americano», un giallo con un’inchiesta ambientata in spazi immensi, come la Svizzera ma in scala più ampia.

 

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BFM 41: il programma
La 41a edizione del Bergamo Film Meeting con un evento di preapertura il 9, si tiene dall’11 al 19 marzo con le sezioni competitive dei lungometraggi e dei documentari, la sezione Europe Now! con le personali di Ursula Meier (Francia Svizzera) e Jaco Van Dormael (Belgio), la retrospettiva dell’attore Jerzy Sthur, la personale completa della regista ceca dei film di animazione Michaela Pavlátová, l’omaggio alla cineasta Kira Muratova con un programma dei film del periodo sovietico. Con Emanuela Martini un webinar gratuito dedicato a Lauren Bacall, il 16 marzo panel con Giorgio Diritti. Inoltre una selezione dei film di diploma delle scuole di cinema europee che aderiscono al CILECT, e due giornate professionali Europe, Now! Film Industry Meetings (13 – 14 marzo), la sezione Incontri: Cinema e Arte Contemporanea realizzata in collaborazione con l’Associazione The Blank; insieme ad anteprime, proiezioni speciali e il DAILY STRIP, l’appuntamento con alcuni tra i migliori illustratori del panorama italiano del fumetto. Sulla piattaforma online bergamofilmmeeting.stream sarà possibile rivedere i corti della sezione Kino Club, oltre ad alcuni contenuti extra come l’Audio Film, un film audiodescritto accessibile anche per il pubblico ipovedente e non vedente. Incontri speciali il 12 e 19 marzo al cinema Eden di Brescia e il 30 marzo al Circolo del cinema di Verona.