C’erano una volta libri delicati, scritti da curiosi ed eruditi, che facevano la delizia di uomini sensibili alle cose. Le pagine dei romanzi, gli oggetti d’arte venivano allora carezzati da una luce più morbida, che, se non sempre sapeva squadrarli con la stessa recisa chiarezza, pure li sottraeva all’impressione di essere delle membra disgiunte da esporre in un gabinetto anatomico. Quanti sono oggi i lettori di Diego Angeli, il delizioso autore delle Cronache del “caffè greco” (il quale sta per chiudere senza che molti se ne diano pena) e di Roma romantica? E di Via Cupa di P. P. Trompeo quanti ancora se ne ricordano? Erano libri nei quali si evocavano fantasmi passati tirandoli per i lembi del loro lenzuolo. Ambienti gradualmente scomparsi, come le pitture dalle facciate dei palazzi del Cinque e del Seicento, non appena il grande faro della Storia si mosse. In queste figure di comprimari, tuttavia, nelle notazioni sciolte dei lori diari, nei loro accadimenti biografici è sommessamente raccolta tutta la fragranza di un’epoca. Se una strana fattura, d’altronde, può costringere, come dice Stevenson, certi diavoli a vivere nelle bottiglie, non è da stupirsi se i fantasmi rimangano talora prigionieri in un piego di lettere, in un astuccio, in un ritratto.
Anche Gottardo Pallastrelli, in Ritratto di signora in viaggio Un’americana cosmopolita nel mondo di Henry James (Donzelli, pp. 253, euro 25,00), è partito da poco: da tre ritratti. I primi due, di mano del Burne-Jones, raffigurano rispettivamente Caroline Fitzgerald e Edward Fitzgerald, il terzo, di J. J. Lefebvre, ha per soggetto Augustine Fitzgerald, il maggiore dei fratelli. Il ritratto di Caroline «pallida, con la mente altrove e un libro abbandonato sulle mani» per quella sua «postura triste e malinconica, con le spalle quasi gravate da un peso invisibile» deve aver stimolato nell’autore quello stesso genere di curiosità indagatrice che spinge i protagonisti del romanzo di A. S. Byatt, Possessione, a ricostruire la vita e i travagli di Christabel La Motte, immaginaria poetessa in contatto con un altrettanto immaginario poeta vittoriano, Randolph Ash. In Pallastrelli, naturalmente, l’intento non è romanzesco ma storico: dall’intreccio di lettere, fotografie, dipinti e diari emergono, infatti, ancora prima che il fascino di una donna anticonvenzionale, una condizione spirituale e una sensibilità tipiche di una upper class americana affascinata dalla cultura europea in un’epoca compresa fra la Gilded Age e la fine della Belle Époque.
Caroline Fitzgerald nacque nel 1865 a Litchfield nel Connecticut, sposò in prime nozze il virgulto di una possente famiglia inglese, Lord Edmund George Fitzmaurice, dal quale poi divorziò per congiungersi a un esploratore italiano, Filippo De Filippi, col quale andò a vivere a Roma. Le sua prima raccolta di poesia fu scritta sotto l’influsso di Browning, com’è percepibile fin dal titolo Venetia Victrix and Other Poems; ma un po’ ovunque nelle lettere, nei taccuini affiora la sua educazione europea, anglosassone in particolare. Le pagine dei quaderni dedicate al Castello di Mantova e a Palazzo Te, ad esempio, somigliano singolarmente a quelle di Vernon Lee in Genius Loci: simile il giudizio severo sugli affreschi di Giulio Romano, simile l’attitudine sentimentale che spinge le due viaggiatrici a ripopolare con la fantasia le sale e i paesaggi svuotati dal Tempo («Mi piacerebbe esplorare il paese intorno a Mantova e sapere a quale tipo di paesaggio Virgilio fosse abituato prima, poiché la città stessa ha ovviamente un suo specifico carattere ed è pressappoco solcata dai laghi come Venezia lo è dalla laguna»). Sono affinità non tanto di spirito quanto di ambiente e di letture: Vernon Lee apparteneva a quella colonia di anglosassoni a Settignano che tanto fascino esercitava sulla giovane americana e che ella stessa frequentò tramite la famiglia Eyre.
La storia dei Fitzgerald fu sotto certi aspetti una storia d’infelicità. Sebbene Burne-Jones, si può credere, avrebbe dipinto come una bellezza smunta ed esangue anche la florida Cunegonda del Candide, una sorta di delicatezza turbata traspare effettivamente dalle foto, oltre che dal ritratto, di Caroline. «I Fitzgerald – scrive Pallastrelli – si sono mescolati con l’Europa e coi sui costumi senza essere davvero del tutto europei e senza essere più americani, ne sono stati attratti come un pendolo senza sentirsi mai davvero a casa in nessun luogo e l’irrequietezza che ne ha caratterizzato i continui spostamenti ha lasciato velocemente il posto a una insoddisfazione malinconica che ancora si legge in tutti i loro ritratti». Nella vita dei tre fratelli vi fu, dunque, un po’ di quel sentimento d’esistenza spezzata e irredenta che è nei celebri versi di Mallarmé su Erodiade: «Triste fleur qui croît seule et n’a pas d’autre émoi / Que son ombre dans l’eau vue avec atonie». Ebbero molti amici ma il loro talento deperì in parte nella penombra. Augustine fu pittore di «sfuggente e, forse, mancata personalità (…) non riuscì mai a trovare veramente la propria strada. Uno che come tanti gentiluomini della fine del XIX secolo, viveva la propria epoca ancorato al passato nutrendo in sé intuizioni e variegate inquietudini artistiche e letterarie racchiuse nobilmente nel proprio animo dilettantesco»; e così il fratello Edward, alpinista, che arrivò a scalare l’Aconcagua ma un malessere gli impedì, come simbolicamente, di raggiungerne la vetta.
Eppure in queste esistenze medie sono riconoscibili con più chiarezza i conflitti di un’età e le contraddizioni di una cultura. Ciascuno può vedere, per esempio, nelle parole dell’autore citate pocanzi, molti dei triboli che affannano i personaggi di Henry James, il quale fu, d’altra parte, legato ai Fitzgerald da una diuturna e fraterna amicizia, come documenta anche, a cura di Rosella Mamoli Zorzi e dello stesso Pallastrelli, Henry James, «Sui letti di asfodelo» Lettere a Caroline Fitzgerald (Archinto, pp. 107, euro 18,00). E ciascuno può, ancora, ricordare come nella casa del più grande fra gli storici della sensibilità e del gusto, Mario Praz, fossero raccolti non capolavori ma ninnoli, cere, conversation pieces, diorami, strumenti musicali, case di bambole: esempi di arte minore nelle quali, tuttavia, come nei tre ritratti di questo libro, stava tutta un’epoca racchiusa. Basta rimuovere un po’ di polvere per farne scaturire fantasmi, come dall’ampolla di Sant’Antonio nel celebre racconto di Hoffmann.