«A meno che non si abdichi, a meno che non si bari, parcheggiando il proprio figlio davanti al televisore per ore intere, si è chiamati a scegliere uno dei due piatti della bilancia. Una specie di perversa roulette russa che ti illude di avere la possibilità di decidere. O famiglia o lavoro. O affetti o carriera. Esattamente la stessa situazione con cui devono fare i conti quotidianamente le donne, anche solo quando valutano la possibilità di diventare madri».

Lo ha scritto un uomo, il giornalista sportivo Andrea Romano, sul sito The Vision, raccontando la propria esperienza di padre improvvisamente costretto al lavoro a casa, con un figlio piccolo, mentre la mamma era obbligata a lavorare in ufficio.

Il suo racconto – molto interessante – confessa una profonda riconsiderazione del ruolo di padre. Lo ha ripreso Eleonora Giovinazzo in un articolo intitolato: «La quarantena riapre il dibattito: come viene distribuito il carico mentale (e domestico) tra mamme e papà?» sul sito del “femminile” D de la Repubblica.

Da qui la scelta del gruppo uomini di maschile plurale di Lucca di proporre un confronto pubblico, on line, svolto nel pomeriggio di giovedì 14 maggio per quasi tre ore: molti maschi, collegati da varie parte d’Italia, e più numerose donne, alcune impegnate in associazioni femminili e femministe, altre per parlare della propria storia di mamme lavoratrici. Presente anche Eleonora Giovinazzo.

Scambio assai interessante che, per decisione unanime, sarà presto reso presto pubblico.

Alcuni spunti, annotati durante la discussione. Una giovane madre: «La convivenza forzata, magari in spazi piccoli, ha prodotto dinamiche che non conoscevamo… La frase: ma se me lo chiedi ti aiuto, già dice tutto, un lessico che sottintende l’esclusione del maschio da quello che serve nella gestione domestica». Mamma single con due figli adolescenti «per due mesi h24 con me…»: «Certo noi donne siamo multitasking: è questa la nostra fregatura! Pensate al fenomeno delle chat di scuola in cui ci siamo solo noi madri: come mai non ci sono i papà?». Si rivendica, mentre cresce la retorica di quanto è bello lo smart-working, il «diritto alla sconnessione».

Molti uomini convengono, e c’è anche chi racconta di tentativi sinceri di cambiare un po’.

Ma è sufficiente la buona volontà? L’attività di scambio e riflessione in gruppi maschili, in cerca di una identità più libera e consapevole, aiuta, anzi è indispensabile. Ma anche un confronto aperto e misto come questo risulta molto istruttivo. Anche per guardare senza ipocrisie l’eventualità, la necessità di un confitto.

Dice una signora: «Agire il conflitto non è negativo, va bene la gentilezza, ma ci vuole anche la forza!». E questo vale nei rapporti familiari e di coppia, e nel contesto dei lavori.

Viene ripresa e piace la parola «scardinare», riferita sia ai «ruoli di genere», sia al modello sociale in cui si vive. Modello di cui l’emergenza del virus ha esaltato le incongruenze e ingiustizie.

È una ragazza a puntare il dito contro un sistema patriarcal-capitalistico che obbliga alla frattura tra lavoro «produttivo» e cura per la riproduzione della vita, indispensabile quanto rimossa. Qualcuno propone: rilanciamo l’idea di ridurre gli orari di lavoro e di riorganizzarli tra i due sessi per le esigenze della vita. Già, perché non farlo?

Sindacati e politici riusciranno mai a capire una cosa così semplice e evidente? Per ottenerla, certo, occorrerà un sapiente, forte conflitto.