Filippo Gili va da qualche anno indagando su quel terreno vago che sta tra la vita e la morte. Non in senso speculativo, ma sul terreno proprio del teatro, tanto che cornice e intreccio di ognuna di queste scritture è la famiglia, il teatro primario da cui ogni rappresentazione scaturisce. Ora, dopo aver scritto negli anni Prima di andar via e Dall’alto di una fredda torre, ha appena presentato (all’Orologio di Roma, fino a domenica prossima) L’ora accanto. Con la regia, in tutte e tre le occasioni, di Francesco Frangipane. Tanto da costituire ormai una vera e propria Trilogia di mezzanotte.

Nel primo testo il nucleo drammatico era costituito dalla scelta di uno dei figli di volersi suicidare; nel secondo i figli si trovavano a dover scegliere su quale dei due genitori decidere di far vivere grazie a un trapianto. Ora, quasi quella stessa famiglia (ci sono attori che hanno interpretato ruoli similari nelle pièce precedenti) trova grazie alla scienza futura il modo di far tornare in vita il padre morto, anche se per un’ora soltanto, quella appunto del titolo.

Una festa di compleanno, come tutti ne vivono, con le alleanze e le recriminazioni di ogni famiglia: conosciamo le due figlie e i due figli di un padre deceduto ormai da qualche anno, e la loro incantevole madre, piuttosto svampita, tranne che negli affetti che la rendono lucidissima (Michela Martini e Ermanno De Biagi fanno dei genitori il perno emotivo del racconto).

Ma quella possibilità fantascientifica di ridare vita, anche se solo per un’ora, a muscoli e ossa ormai in decomposizione, funziona davvero come un acceleratore atomico sulla personalità di ognuno di loro. Le rigidità si faranno incrollabili e i cedimenti consapevoli, quasi a dimostrare gli innegabili vantaggi di una messa in comune anche di quanto è inconfessabile per ognuno di loro. E forse anche per gli spettatori, ai quali, conclusa la finzione teatrale, resta il dubbio di quella impossibile chance.