Chi ha chiesto il voto ai cittadini italiani per farsi eleggere in parlamento e in quel contesto rappresentare l’opposizione deve sì rispettare il mandato che ha ricevuto, ma deve poi assumersi la responsabilità di osservare le regole di quella sede istituzionale e condurre la propria battaglia nelle forme consentite dalla democrazia rappresentativa (compreso naturalmente un duro ostruzionismo). Tanto più che proprio il grillismo obbedisce a una maniacale attenzione ai riti e alle forme (internettiane) con cui scegliere gli obiettivi dell’azione parlamentare. Ma a che scopo se poi anziché usare la forza dei numeri e la qualità degli argomenti per creare alleanze e farsi motore di un’opposizione vincente, tutto si riduce (e si svilisce) nella messa in scena di un po’ di gazzarra?

Forzare il gioco fino a trasformare le aule parlamentari in un surrogato della piazza significa impiccarsi alle proprie difficoltà, rivelando tutta l’ambiguità e le contraddizioni di un Movimento che poi, alla resa dei conti, obbedisce alla linea proclamata da Grillo nei comizi: l’unica via è prendere la maggioranza assoluta dei voti e poi governare da soli. Niente di diverso dal ritornello che abbiamo sentito ripetere in tutti questi anni da Berlusconi: datemi i voti e lasciatemi fare. L’eterna pulsione dell’uomo solo al comando. La stessa logica che oggi assume le sembianze del sindaco di Firenze, osannato da giornali e televisioni per il rassicurante piglio decisionista.

Saltare sui banchi del governo, costringere la presidente della camera a chiudere i propri uffici per evitarne l’occupazione, lanciare insulti sessisti contro le deputate del Pd, fino a usare l’arma estrema dell’impeachment verso il Presidente della Repubblica, come si trattasse di scrivere un volantino, tutto questo serve solo a conquistare i cinque minuti di celebrità, offuscando però la sostanza, il merito delle questioni politiche sollevate. Che pure il M5Stelle ha portato nelle aule parlamentari in molte occasioni. Per esempio sul caso Shalabayeva, sull’acquisto degli F35, sulla truffa delle slot-machine, sul salva-Roma, sui casi Cancellieri e De Girolamo, sull’articolo 138 della Costituzione.

Intendiamoci, nessun sacrario è stato violato e chi parla di squadrismo fascistoide gioca allo stesso gioco dei grillini. Senza nemmeno avere tutte le carte in regola per dare lezioni di democrazia, visto che solo l’uscita dal governo delle larghe intese dei falchi berlusconiani ha tolto di mezzo la programmata manomissione della Costituzione.

Così quel che alla fine il ricco spettacolo mediatico mette in evidenza è la difficile agibilità di una battaglia di opposizione sia nelle istituzioni rappresentative che nella società. Anche perché nelle aule del parlamento dei nominati, i partiti, sempre più comitati elettorali, non rappresentano più da molti anni la voce del paese. Non vanno nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei quartieri. E le lotte generose delle associazioni, che invece animano la democrazia di base, incontrano solo il grande muro di gomma delle nomenclature che respingono il conflitto o trattandolo duramente come un affare di ordine pubblico, o facendolo galleggiare in un perenne surplace, in un eterno moto inerziale.

E questa sorda campana suona per tutti, grillini compresi.