Nei primi mesi del 2018, Enrico Crispolti (Roma 18 aprile 1933 – 8 dicembre 2018) meditava di fare un libro che enucleasse una linea «espressionista» dell’arte italiana del dopoguerra. Si trattava di scegliere dalla sua sterminata bibliografia alcuni testi adatti a una narrazione coerente che tenesse insieme Francesco Somaini e Alik Cavaliere, Sergio Vacchi e Giannetto Fieschi, probabilmente Mino Trafeli e Bepi Romagnoni, verosimilmente Valeriano Trubbiani e Titina Maselli, sicuramente Mattia Moreni. Di altri, come Franco Francese, avrebbe scritto per l’occasione.
Sarebbe riduttivo schiacciare il profilo critico di Enrico fra l’esperto del Futurismo e l’esegeta di Lucio Fontana: queste erano le stelle fisse di una costellazione ampia e ramificata, sondata all’insegna di una «orizzontalità», scriverà nel fortunato Come studiare l’arte contemporanea (Roma 1997, 2000, 2003, 2005), dell’indagine sul presente visto in prospettiva storica.

IN QUESTO DIAGRAMMA, a cui molti nomi si potrebbero aggiungere (almeno Corrado Cagli ed Enrico Baj, oltre al sodalizio con Ico Parisi), si legge in controluce una linea di militanza critica di cui, per il contesto romano, aveva ridisegnato i confini con lo spirito del «risarcimento» di una «deriva storico-critica» in due mostre al Musia di Roma (2017-2018), che a posteriori paiono un vero e proprio testamento spirituale: una tendenza esistenziale, con una graffiante e polemica presa sulla realtà, alternativa a un’avanguardia, premiata dal mercato, il cui rinnovamento linguistico gli appariva formalisticamente consolatorio. Va letto in questa prospettiva l’impegno suo per l’opera di Renato Guttuso, che taluni lessero come un «tradimento» della militanza, e che invece rientrava in una logica coerente in cui il pittore di Bagheria faceva da marcatore per leggere l’arte del Novecento in senso dialettico.
È la traccia di una fedeltà di lungo periodo a temi che lo hanno accompagnato per tutta la vita, a partire dalle tre edizioni di una rassegnata epocale, immaginata poco più che trentenne e durata per tutti gli anni Sessanta, come Alternative Attuali (1962, 1965 e 1968, e Aspetti dell’arte contemporanea 1963) al Forte Spagnolo dell’Aquila, di cui avrebbero raccolto il testimone alcune edizioni della Biennale di Gubbio, fino alla sfida di arte ambientale a Volterra ’73, punti cardinali di una geografia eccentrica, condotta fuori dalle rotte ufficiali della critica stabilizzata, e che tale resterà anche quando gli verrà chiesto di curare due sezioni della Biennale di Venezia nel 1976 e nel 1978.

DALLA «PERIFERIA» proponeva un nuovo modello critico: la «mostra-saggio» (con un’importante premessa, da Crispolti stesso rapidamente storicizzata, in Possibilità di relazione nel 1960), da affiancare al «taccuino critico» come modalità di approccio, per messe a fuoco progressive, alla scrittura critica. In questo modo erano nati tre libri fondamentali, di cui è urgente la ristampa: Ricerche dopo l’Informale (Roma 1968), Il mito della macchina e altri temi del Futurismo (Trapani 1969), Arti visive e partecipazione sociale (Bari 1977). Parallelamente, con un occhio alla geografia dell’arte italiana del Novecento, Crispolti si collocava in una generazione di critici che avevano capito per la prima volta la scultura contemporanea, negletta per esempio nella lezione del suo maestro Lionello Venturi.

COMINCIA ALLORA la stagione dei grandi cataloghi ragionati, espressione apicale della metodologia crispoltiana di operare sul contemporaneo e sulla sua storicizzazione in atto: dopo i prodromi con Baj (1973) e Fontana (1974, poi 1986 e 2006), sarebbero arrivati Guttuso (1983-1989), Guido Pajetta (2009), Vacchi (2009-2011), Vittorio Corona (2014), Moreni (2016). In cantiere, invece, erano Gianni Dova, Francesco Somaini, le ceramiche di Fontana e, inaspettato colpo di coda finale, Piero Dorazio. Nel frattempo, dopo anni di insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Roma (1966-1973), Enrico era entrato all’Università: dapprima a Salerno (1976-1984) poi a Siena (1984-2008).
Nascevano in quel frangente le prime cattedre di storia dell’arte contemporanea, legittimata finalmente come disciplina universitaria. Siena apre una stagione cruciale: dirigendo la scuola di Specializzazione dal 1986 al 1998, Crispolti trasforma la Certosa di Pontignano in un polo di attrazione magnetico in cui letteralmente nasce una nuova generazione di studiosi. Non si può tuttavia limitare l’insegnamento di Enrico all’esperienza senese, perché la sua apertura generosa e disinteressata ai giovani, artisti e studiosi, non si è mai esaurita, così come la grande visione progettuale espressa dal monumentale archivio messo insieme in cinquant’anni, organizzato come un centro di documentazione.
È la grande lezione di un tramando generazionale ininterrotto, fondato sul dialogo in modo franco e con inesausta curiosità, scevro di sentimentalismi, ma alimentato costantemente da una lucida, arguta e appassionata partecipazione.