L’obiettivo è qualcosa più che ambizioso. Un nuovo statuto di tutti i lavoratori che superi la storica divisione fra dipendenti e autonomi riconquistando i diritti cancellati dal Jobs act. Mentre i giuristi della Cgil sono al lavoro per fissare i principi che riunifichino il mondo del lavoro, Susanna Camusso incontra i tanti rappresentanti di un universo sfaccettato e in espansione.

Un universo che il sindacato fino a pochi anni fa vedeva come concorrente nella lotta per l’equità sociale e che veniva considerato dai professionisti con grande diffidenza. L’instancabile lavoro di Davide Imola – il sindacalista scomparso a dicembre responsabile della Consulta delle professioni – è riuscito a metterli in comunicazione.

Appena dopo pranzo, il parlamentino di Corso Italia – la sala Santi – è piena di giovani e 40enni: alcuni sono spaesati, molti altri si conoscono. Tutti vogliono dire la loro. Ad unirli al sindacato c’è anche la parola più usata dopo «diritti». Si tratta di «controparte», perché sebbene siano quasi tutti autonomi, anche loro hanno «uno o più padroni a cui sottostare».

Potere di Renzi, ora i due mondi si sono avvicinati nella comune richiesta di diritti basilari. «Il danno peggiore del Jobs act è aver trasformato tutto in un conto. Anche a noi ora capita di sentir dire: “Non mi servi più, quanto vali?” per togliere una commessa», racconta Emiliana Alessandrucci del Colap, il coordinamento delle associazioni professionali.

Un’ora di discussione, un inizio di confronto schietto. Con un merito che va subito riconosciuto a rappresentanti delle associazioni: in pochi minuti di intervento hanno fatto richieste dirette e pragmatiche, una lezione per chi della verbosità fa la regola di vita.

Nella sua replica Susanna Camusso è ugualmente pratica: «Ci sono diritti che collegano tutte le forme di lavoro? Noi crediamo di sì: malattia, diritto al riposo, alla maternità, alla paternità, assicurazione sugli infortuni, ammortizzatori. E se il nuovo statuto deve essere universale il tema centrale deve essere la persona che deve avere diritti indipendentemente dalla modalità del lavoro che svolge. Uno statuto che sarà, come il vecchio, una legge di principi che poi la contrattazione inclusiva dovrà declinare», conclude sorridendo.

Il confronto era partito parafrasando «la coalizione sociale» – «noi qui la facciamo in Cgil da anni», attacca Andrea Dili di Alta partecipazione (vicina al Pd) – e si parla subito di «mettere le persone al cento perché la frammentazione del mondo del lavoro sta nelle regole, ma non nella realtà», specifica l’elegantissimo Angelo Deiana di ConfAssociazioni. Le richiesta partono con l’intervento di Emiliana: «Per noi “ammortizzatori sociali” vuol dire poter scaricare la formazione che per noi è fondamentale».

Susanna Botta di Acta Roma spiega che «le tutele devono essere universali ma vanno declinate in modo diverso», per una sorta di «eguaglianza nella diversità». E fa esempi precisi di come declinarli: «La maternità non può essere rinuncia al lavoro, la malattia grave non può coprire solo 61 giorni l’anno come ora». È presente anche un sindacato vero e proprio: è Strade, sindacato dei traduttori che si è pure inventata una Cassa mutualistica. Ma che «ha bisogno di più sindacato per sedersi al tavolo con la contraparte», spiega Daniele Petruccioli.

“Iva sei partita” è una delle associazioni più longeve, nata per denunciare «gli architetti sfruttati, ora è passata a rappresentare le partite Iva povere, gli ingegneri che fanno i collaudi o i direttori dei cantieri: la loro debolezza ha conseguenze su tutta la società», racconta Francesca Lupo. Le guide turistiche invece chiedono aiuto contro «la pressione dei grandi tour operator che chiedono ai governi europei di cancellare l’esame di abilitazione mettendo a rischio 21mila posti di lavoro in Italia», denuncia Francesca Duimich.

Si chiude poi coi rappresentanti degli ordini professionali. C’è Cosimo Matteucci di Mga – associazione forense – che testimonia «dei 40-50enni cacciati dagli studi di avvocato che non hanno ammortizzatori e pensione» e chiede «contributi legati alla capacità reddituale e un aggregazione delle 21 casse autonome esistenti, assorbite dall’Inps». Walter Grossi dell’associazione archeologi rivendica invece «l’equo compenso».

«Il prossimo appuntamento – annuncia Salvatore Barone, responsabile contrattazione Cgil – è fra qualche settimana. Noi raccoglieremo idee e sollecitazioni per fare poi una sintesi». «Se son rose, fioriranno. Ma di sicuro abbiamo trovato qualcuno che ci ascolta», sintetizza più di un freelance, uscendo soddisfatto.