I novemila docenti che bloccheranno gli esami universitari fino al 31 ottobre hanno risposto picche alla convocazione da parte dei rettori della Crui della riunione del 5 ottobre per regolare il loro diritto di sciopero.

In quattro comunicazioni diverse il movimento «per la dignità della docenza», i ricercatori della Rete 29 aprile, i professori associati del Conpass e il Comitato nazionale universitario (Cnu) si sono opposti a un tentativo disordinato di influire su uno sciopero in corso – evento rarissimo nella storia della docenza universitaria italiana. I prof non riconoscono l’autorità della Crui che il 13 settembre scorso si è auto-proclamata «datrice di lavoro» dei docenti, mentre in realtà è composta da «primi inter pares», membri di un’associazione non riconosciuta dal codice civile che non ha il diritto di concordare uno sciopero legittimato dal Garante.

«Non esistono vuoti normativi ai quali occorra porre rimedio – sostiene Carlo Ferraro del movimento dei docenti – Discuteremo le regole dello sciopero solo con il ministero dell’università e soltanto a sciopero concluso». «Non c’è alcuna esigenza, nemmeno indiretta, di iniziare alcuna discussione» ribadisce Calogero Cammalleri del Conpass. «Le regole dello sciopero hanno un unico fondamento: l’articolo 40 della Costituzione» aggiunge Vincenzo Vecchio del Cnu. La Crui è «un’associazione privata non riconosciuta che si è sempre distinta per l’indifferenza rispetto ai movimenti degli studenti, dei precari e dei ricercatori contro la legge Gelmini e i tagli – sottolinea la Rete 29 aprile – e vanta un bel palmarés di interventi a sostegno o a fianco dei governi che hanno liberalizzato in maniera selvaggia il precariato». Conpass, Cnu e Rete 29 aprile non si presenteranno alla riunione. Il movimento per la dignità della docenza andrà solo per avere un’interlocuzione con il Miur, «convocato» anch’esso dai rettori, ma non con la Crui.

L’infortunio dei rettori tradisce la sorpresa rispetto a una protesta che ha preso piede nell’università, inaspettata anche se annunciata da mesi. L’imbarazzo è anche della ministra Valeria Fedeli tirata in ballo dall’improbabile convocazione dei rettori, effettuata «per le vie brevi» (lo sbrigativo burocratese è contenuto nella loro lettera). Invece di affrontare, apertamente, uno degli effetti della guerra efferata mossa sette anni contro scuola, università e ricerca, la ministra si è lasciata trascinare in un vicolo cieco. Eppure aveva promesso di intervenire «al più presto». «Un blocco così lungo è ingiusto in sé e non valorizza una scelta importante del Paese di tornare a investire seriamente sul percorso formativo» ha detto il 29 agosto scorso. Francesco Verducci, responsabile Pd università, aveva rassicurato: «Troveremo le risorse nella legge di bilancio». Impegni tutto da verificare sul «sentiero stretto» del governo.

L’approccio che tende a separare le istanze dei docenti – sottoposti al blocco degli scatti stipendiali e a un «mutuo perpetuo» sugli stipendi che eliminerà cinque anni di carriera dal calcolo dell’anzianità di servizio – dalla richiesta di rifinanziare un sistema depredato di 1,1 miliardi e di assumere almeno 20 mila ricercatori. Un’esigenza ribadita da un ampio schieramento di forze sindacali e studentesche, ma che non rientra nella «strada stretta» del ministro dell’economia Padoan. In agenda ci sono solo i fondi per la decontribuzione alle imprese che assumeranno «giovani» a cavallo dei 29 anni per lo spazio di un mattino.