«Restituire noi i soldi alla Confindustria? Ma non se ne parla proprio. E non siamo neanche disposti a una moratoria dei contratti: in settembre presenteremo le piattaforme, con precise richieste di aumenti». Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec Uil, sottolinea che il milione di lavoratori dell’energia e della chimica non è disposto ad aspettare gli eterni rinvii, quelli che lui chiama «i pretesti», addotti dagli industriali per non rinnovare. No anche alla restituzione dei passati aumenti causa deflazione. E intanto accelera sul fronte interno, quello sindacale: rompendo l’impasse in cui si trovano Cgil, Cisl e Uil sull’elaborazione di un nuovo modello contrattuale, resa esplicita dall’incontro di lunedì scorso nella sede della Uil. I chimici, un «modellino» ce l’hanno già e si basa su una unità di ferro, un Patto federativo siglato da Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec che li vincola a contratti unitari.

Va detto, per completezza, che la vostra categoria è sempre stata piuttosto unitaria. Ora però avete firmato un Patto federativo. È già il «sindacato unico» desiderato da Renzi?

Io non la definirei una piena unità sindacale, però sì, è un patto federativo che ci vincola politicamente. Tra i pretesti addotti dalla Confindustria per non rinnovare i contratti e chiederci una moratoria, c’è la lunghezza delle procedure previste per la realizzazione del Testo unico, con la certificazione di iscritti e Rsu, aspettando i tempi dell’Inps. È vero, sono tempi lunghi, ma noi intanto i contratti in scadenza li vogliamo firmare e non siamo disposti ad aspettare: per questo abbiamo elaborato un modello partecipativo, che coinvolge e responsabilizza le Rsu, motivandoci tutti ad ottenere il massimo.

Cosa prevede questo modello?

Parto dal meccanismo di validazione, poi spiegherò su quali basi formuliamo le nostre richieste di aumento. Si elegge un’assemblea dei delegati, mettiamo 300 persone, composta per il 60% da Rsu elette dalle assemblee dei luoghi di lavoro, e per un altro 40% da componenti indicati dalle strutture organizzative del sindacato, in modo proporzionale rispetto alla rappresentanza, e non più paritetico. Questo organismo seguirà tutte le fasi della trattativa, e sarà il soggetto che dovrà validare sia le piattaforme che i contratti. Inoltre, abbiamo inserito il vincolo politico a una conclusione unitaria.

Non è mai previsto un referendum? Mi pare un modello molto diverso rispetto a quello proposto dalla Fiom di Maurizio Landini.

Sì, è molto diverso perché si basa sulla democrazia delegata, e non assembleare: quindi il referendum non è previsto. Noi siamo per responsabilizzare le Rsu, elette, faccio notare, dai lavoratori: anche per renderle più forti rispetto all’azienda, nelle fabbriche, quando andranno a trattare ad esempio gli integrativi.

E quanto alle richieste? In un periodo di deflazione come fate a chiedere aumenti?

La richiesta di aumento del contratto nazionale è composta da due elementi: la tutela del potere di acquisto e l’andamento dell’economia nazionale, la crescita del Pil. Per i chimici chiederemo 123 euro di aumento, per l’energia-petrolio 134; 128 per il gas-acqua, 105 per la gomma-plastica. Vogliamo estendere il welfare anche ai non iscritti ai fondi, e rendere obbligatoria la formazione. Inoltre, per contrastare il Jobs Act, riscriveremo le norme disciplinari, in modo da evitare licenziamenti arbitrari. E sui licenziamenti collettivi proporremo il recupero delle garanzie della 223, la legge anteriore alla riforma.

Questo è il pilastro fisso, nazionale, peraltro parecchio a rischio secondo gli intendimenti della Confindustria, e a volte sembra anche del governo. Quindi buona fortuna. Ma il salario variabile? Ormai sembra che le imprese vogliano «variabilizzare» tutto.

Sì, capisco, però gli industriali si mettano d’accordo con sé stessi. Perché in alcuni settori come il tessile e il metalmeccanico addirittura disdettano gli integrativi e non vogliono firmarne di nuovi. In Eni di recente abbiamo concordato un premio di risultato di gruppo, che è tutto variabile: è distinto in due parti, e segue da un lato l’andamento dell’intero gruppo, dall’altro la produttività del singolo stabilimento. Concludo con un messaggio ben preciso alle nostre controparti: altro che restituire soldi, noi contiamo di ottenere gli aumenti entro il mese di ottobre. Altrimenti ci mobiliteremo. E dico di più: se non si muove neanche il governo con i dipendenti pubblici, dovremo andare a una mobilitazione generale per i contratti. D’altronde, come si pretende di crescere se il mercato interno resta fermo?