Unità
Non posso fare a meno di provare a dire una parola sulla nuova crisi e sul futuro del giornale in cui ho lavorato molti anni e al quale resto molto […]
Non posso fare a meno di provare a dire una parola sulla nuova crisi e sul futuro del giornale in cui ho lavorato molti anni e al quale resto molto […]
Non posso fare a meno di provare a dire una parola sulla nuova crisi e sul futuro del giornale in cui ho lavorato molti anni e al quale resto molto affezionato: L’Unità. Forse dovrei aggiungere un’altra parola sulla circostanza che mi capita di scriverla sul manifesto. Non credo interessi a tanti: mi limito a dire che oggi qui mi sento libero, e ringrazio amiche e amici (compagne e compagni!) di questo giornale per l’ospitalità che mi offrono, e per l’impegno che investono per tenere in vita anche questa testata.
Del resto questa ospitalità mi era stata spesso offerta quando scrivevo quotidianamente sul giornale fondato da Antonio Gramsci. E qui c’è una prima considerazione: può esserci spazio, nel campo dell’opinione pubblica e delle pratiche politiche a sinistra, per diversi quotidiani come l’Unità, il manifesto, Europa? Nonostante la presenza del gigante Repubblica e con una gravissima comune crisi dell’editoria della carta? Bisogna rispondere programmaticamente di sì, perché – sarà una malinconia senile – una presenza anche nella carta stampata mi sembra essenziale per confermare e costruire l’autonomia dei soggetti politici che in diverso modo si impegnano nel campo della sinistra.
La parola unità è sempre stata un specie di tormento dalle nostre parti. Per vincere avversari economici, sociali e politici potentissimi, certo che è necessaria l’unità di chi lavora, non ha potere, subisce tante forme di oppressione e limitazione della propria libertà. Ma spesso in nome dell’ unità sono state negate altre forme di libertà e soggettività nel campo stesso della sinistra. E, soprattutto, i richiami, troppo spesso retorici, all’unità non hanno impedito e continuano a non impedire le divisioni più parossistiche. Ho fatto una fantasia, dopo aver ascoltato la frase di Matteo Renzi sull’esigenza di salvare il «brand» dell’Unità, con le feste e con il giornale, magari unito in un unico progetto con Europa.
I giornalisti del mio vecchio quotidiano, in lotta e senza stipendio da mesi, premono perché si faccia avanti una proposta editoriale seria. Il direttore di Europa dice di non conoscere iniziative concrete per verificare la possibilità di un progetto comune. Ma perché le direzioni e le redazioni dei due giornali non provano a parlarsi e a presentare loro un progetto editoriale comune, capace di attirare un interesse politico e anche economico?
Forse parlo a vanvera, senza conoscere direttamente la situazione, e magari urto anche qualche sensibilità di testata. Ma in fondo non è l’unità dell’Europa – certo non nel segno dell’austerity – il terreno essenziale su cui si gioca la partita, e si giocano i partiti, della sinistra?
Un ricordo: trent’anni fa, il 60° dell’Unità, allora diretta da Emanuele Macaluso. In un inserto speciale venne pubblicato un articolo di Luigi Pintor, con una proposta per me piena di fascino: finiamola con l’«organo di partito», mettiamo insieme le migliori energie dell’Unità e del manifesto, facciamo un grande quotidiano indipendente della sinistra in grado di competere davvero con il giornale di De Benedetti.
Naturalmente era un sogno intelligente, e non se ne fece nulla.
Sarà possibile, oggi, immaginare qualcosa capace di unire e contemporaneamente di esaltare le differenze indispensabili a qualche buona prova a sinistra? Non condivido l’idea delle due destre. Per me resta aperta la scommessa (liberaldemocratica, liberalsocialista?) del Pd, e quella di un’area più a sinistra, radicale, critica. Questo campo, potenzialmente molto ampio (e magari domani anche unito?) esisterà se avrà voci libere e autonome. Anche, ogni mattina, in edicola.
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