«Sul reinserimento dei disoccupati di lungo periodo nel mercato del lavoro dobbiamo pretendere un’azione decisa dell’Unione europea». In una Bruxelles blindata, lo stesso cielo piovoso sopra i grattacieli di vetro intorno a Ronde Point Schumann e sopra le casette di mattoni rossi delle commune di Molenbeek, teatro in queste stesse ore di arresti per la carneficina di Parigi, giovedì mattina la Commissione politiche sociali e lavoro (Sedec) del Comitato delle Regioni Ue (Cdr) ha approvato un parere destinato alla Commissione che, se preso sul serio, potrebbe segnare (in meglio) il destino fin qui fumoso del piano di investimenti Junker. Relatore del provvedimento l’italiano Enrico Rossi (Pd-Pse), governatore della Toscana, che ha condotto in porto una delicata battaglia di emendamenti. Il testo anche lessicalmente è segnato dalla necessità dei voti del Ppe. Nel dibattito le distanze fra europeisti e nazionalisti si sono fatte sentire. Ma è finita con un sì a stragrande maggioranza.

La richiesta di fondo è che l’Europa si faccia carico dell’emergenza disoccupazione, con particolare riferimento a quella di lungo periodo (cioè che dura da oltre 18 mesi), fenomeno di fronte al quale, spiega il presidente, «l’Unione è più in grado di realizzare gli obiettivi di quanto non lo siano i singoli stati». Così come è certo che «un’azione a livello comunitario presenterebbe vantaggi in termini di rafforzamento dell’azione dei Servizi per l’impiego dei paesi membri più colpiti dalla crisi, che necessitano di investimenti straordinari, però impossibilitati a farlo proprio dai vincoli del Patto di stabilità».
Le cifre del fenomeno sono monumentali. Oggi sono 12 milioni gli europei disoccupati, oltre la metà da più di un anno. La loro possibilità di ritrovare un lavoro diminuisce drasticamente con il prolungarsi della disoccupazione (dal 44,3% entro il primo mese al 20,7 fra il 18esimo e il 23esimo). Una perdita netta di capacità produttiva e di crescita economica. Ma soprattutto, in termini sociali e umani, un costo enorme da misurare in marginalità e caduta nello stato di povertà. Il figlio di un disoccupato di lungo periodo ha statisticamente più possibilità di restare a sua volta disoccupato. E così via in una catena di diseguaglianze sempre più insostenibile.

La proposta di Rossi prevede «un’assicurazione europea che copra i bisogni di protezione e formazione di questi disoccupati» ed ha come idea-forza un meccanismo che rafforzi i centri per l’impiego, la cui efficacia è molto diseguale fra gli stati, definendo «degli standard europei». Comprende anche «politiche di protezione» perché «in un paese dove non esiste un reddito di inclusione e c’è scarsità di strumenti pubblici per politiche attive per l’impiego, quest’area di povertà cresce». Va pure detto che l’Europa sollecita a dotarsi di strumenti universalistici di sostegno i due paesi che non hanno un reddito minimo: l’Italia e la Grecia. «Oltre un certo livello di disoccupazione strutturale deve scattare un meccanismo di solidarietà europeo», propone Rossi. Il che favorirebbe Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, mentre gli altri paesi sarebbero dei contributori. Per questa ragione si capisce che il percorso della proposta è in salita ma, spiega il governatore, «si tratta di avere il coraggio e la forza di fare una battaglia culturale, oltreché quella per uno strumento concreto di equità e solidarietà. Anche questo è un modo per far crescere la fiducia nelle istituzioni europee, che così si dimostrerebbero impegnate non solo nella rigida applicazione delle politiche di austerità, ma anche nel risolvere i problemi dei cittadini più deboli». E qui si torna all’inizio, e cioè alla distanza fra i grattacieli di vetro e i quartieri della povertà (nel caso della città di Bruxelles solo qualche fermata di metro). La proposta sarà adottata dalla plenaria del Cdr a febbraio. Con la speranza di essere discussa l’anno prossimo nell’ambito della revisione del budget Ue per il periodo 2014-2020.