Dopo oltre 25 anni torna, arricchito da nuovi contributi, questo libro che raccoglie un buon numero di brevi saggi dai quali è possibile ricavare l’idea che alcuni intellettuali italiani hanno della Germania: non soltanto riguardo alla sua cultura letteraria e filosofica ma anche in relazione al suo scenario politico, alla sua storia, alla situazione socio-economica che ne caratterizza la quotidianità recente e attuale, al suo rapporto con l’Ue e i diversi partner continentali.

IL VOLUME fornisce dunque al lettore un’utilissima occasione per riflettere sull’identità di un popolo prendendo le mosse da alcune domande quali: chi sono, oggi, i cittadini della Repubblica Federale? Cosa possiamo aspettarci da loro, riunificati ormai da tre decenni e membri di una popolosa comunità che vive al centro del continente europeo? Continuano forse a credere alla possibilità di un Sonderweg, vale a dire a una propria via alla modernità? O sono invece convinti sostenitori della democrazia liberale e della scelta europeista fatta dal loro Paese? Una riflessione che ci aiuterà a comprendere meglio i tedeschi e – si spera – a sfatare qualche luogo comune. Curato e introdotto da Marino Freschi, La mia Germania (Bonanno Editore, pp. 142, euro 14) raccoglie appunto quindici interventi che – opera di saggisti dalla diversa formazione e molteplicità di interessi – appaiono assai stimolanti, dal momento che mettono a disposizione del lettore una cospicua quantità di spunti meritevoli di approfondimento. Da Luigi Forte a Domenico Conte, da Claudio Magris a Fulvio Tessitore, da Valerio Verra a Roberto Zapperi ad Anna Maria Carpi, che vi ha inserito una lunga, suggestiva lirica dedicata a Gottfried Benn, i vari studiosi vi «ripercorrono il loro itinerario intellettuale che li ha condotti in Germania, riscoprendo la genesi del loro innamoramento, del loro disagio, del loro spaesamento e del loro vitale e creativo interesse per la cultura tedesca, intesa quale realtà umana, intellettuale, artistica». Sono parole dello stesso Freschi, capaci di sintetizzare efficacemente gli aspetti che accomunano i diversi contributi.

OCCORRE INOLTRE sottolineare come, nei vari scritti, molti degli autori illustrino le proprie convinzioni in relazione a un argomento: la «questione tedesca». Poiché il dibattito è ancora aperto tra quanti pensano che, negli ultimi settant’anni, «la terra dei poeti e dei filosofi» si sia lasciata definitivamente alle spalle ogni tentazione aggressiva e quanti sono invece di diverso avviso, giacché ritengono che l’anima profonda della Germania non cambierà mai e la sua volontà di potenza si sia limitata a elaborare una nuova strategia nell’ambito della quale i successi in campo economico hanno sostituito le conquiste territoriali, il surplus della bilancia dei pagamenti abbia rimpiazzato i carri armati: che vi sia, insomma, la volontà di esercitare sull’Europa un potere egemonico utilizzando lo strumento economico-finanziario.
Ha scritto tuttavia al riguardo – nell’articolo presente nel volume – Angelo Bolaffi: «Uno strano miscuglio di frustrazioni reali e di timori immaginari agita il sonno delle élites politico-culturali di Londra, Parigi e Roma». Per poi concludere: «L’unificazione tedesca ha radicalmente mutato gli equilibri geopolitici europei elevando al quadrato il grado di tensione tra la Germania e i suoi vicini il cui atteggiamento di sospetto verso l’ingombrante compagno di viaggio si è ulteriormente accresciuto».

Sono considerazioni che risalgono al 1993, ma che non sembrano aver perso nulla della propria attualità. Nel frattempo, però, la Berliner Republik non si è affatto isolata: ha, al contrario, continuato ad accogliere migranti, ha costantemente cercato di colmare il divario ancora esistente tra i vecchi e nuovi Länder, non ha mai smesso di investire nell’inclusione sociale, ha tutt’altro che rinnegato la propria vocazione europeista. Certo, la Germania è pur sempre situata nel cuore del nostro continente, del quale costituisce la più importante realtà economica e demografica.
Sembra quindi difficile che possa diventare un paese normale. Ma forse – alla luce delle tensioni che caratterizzano il panorama internazionale dei nostri giorni – non è nemmeno auspicabile che lo diventi: la maggiore integrazione dell’Ue sarebbe a quel punto qualcosa di chimerico.