Il cacciatorpediniere “Andrea Doria” naviga verso il Mediterraneo orientale e nel giro di un paio di giorni si unirà all’Unifil navale (Onu) davanti alle coste libanesi. Il compito di questa nave “multiruolo” è quello di garantire i circa mille soldati italiani della missione Unifil, comandata dal generale Paolo Serra. Il governo italiano e i comandi militari non dicono molto di più. A Roma si guarda con molta preoccupazione ai riflessi in Libano dell’attacco americano alla Siria. I rischi di una escalation esistono, anche nel Libano del sud in cui opera il contingente di terra dell’Unifil – migliaia di soldati di vari Paesi – e potrebbe riaccendersi il conflitto tra Hezbollah e Israele. L’Unifil ha tra i suoi compiti proprio quello di prevenire una resa dei conti tra israeliani e libanesi. Il fatto che la difesa italiana stia contemplando una evacuazione può significare solo una cosa: Roma sa che la possibilità di una nuova guerra in Libano del sud è molto elevata e ritirerà i suoi soldati al primo incidente di frontiera significativo. Dovesse esserci, in pieno attacco Usa contro Damasco, un’altra infiltrazione in territorio libanese di soldati israeliani – come quella del mese scorso in cui sono rimasti feriti quattro militari dello Stato ebraico – la situazione potrebbe esplodere. Senza sottovalutare un nuovo lancio di razzi verso il territorio israeliano, dopo quello di qualche giorno fa, da parte di gruppi jihadisti sunniti, una provocazione da parte di chi intende mettere nell’angolo Hezbollah, di fatto “responsabile” per il Libano del sud.

E’ di appena tre giorni fa peraltro l’attacco al vetriolo che il leader della destra libanese, Samir Geagea (“Forze Libanesi”), ha rivolto al movimento sciita per la sua partecipazione, accanto alle forze governative, alla guerra civile siriana.

Accuse volte a rilanciare il dibattito sui tre principi sui quali si sono formati gli ultimi governi libanesi: «Popolo, Esercito, Resistenza». Secondo Geagea occorre eliminare subito il principio della “Resistenza”, ossia smantellare la ben addestrata milizia sciita che Hezbollah dice di tenere a protezione del Libano dalle aggressioni esterne (Israele). Hezbollah non ha replicato frontalmente, anche per non aggravare il clima nel Libano dove lo scontro settario di fatto è parallelo a quello sanguinoso in corso in Siria, come hanno dimostrato i due recenti attentati con decine di morti che hanno colpito la parte sciita di Beirut e la Tripoli sunnita. Il segretario del movimento sciita, Hassan Nasrallah, per ora si “limita” a minacciare una pesante ritorsione, con il lancio di migliaia di razzi, in caso di un blitz israeliano in Libano.

Come il suo stretto alleato Iran, Hezbollah manterrà un profilo basso se l’attacco americano alla Siria sarà, come si era detto inizialmente, di breve durata e non devastante. In caso contrario ogni scenario è possibile. Specialmente ora che Nasrallah può provare, dal suo punto di vista, che la presenza dei suoi combattenti in Siria serve non solo a difendere il Libano dalle infiltrazioni di jihadisti e qaedisti, ma anche a combattere la cospirazione di Stati Uniti, Israele e altri Paesi occidentali per far cadere il regime di Damasco, parte dell’«Asse della Resistenza».