Unicredit dal 2023 non accorderà più finanziamenti per progetti di centrali e miniere di carbone. Dopo Generali, l’istituto di credito è il secondo colosso finanziario italiano a compiere questo passo, messo nero su bianco nei nuovi impegni nelle attività ESG (Environmental, Social, Governance).
La nuova policy del gruppo bancario stabilisce, inoltre, che non saranno sostenute compagnie che basano sul carbone oltre il 30 per cento della loro produzione elettrica. Il limite del 25 per cento è stato imposto anche alle compagnie minerarie, ma in questo caso la soglia si riferisce alla percentuale di ricavi legati all’estrazione del carbone.

È invece immediato l’addio al coinvolgimento finanziario nei progetti di esplorazione nell’Artico e in quelli non convenzionali dell’Oil and Gas – sabbie bituminose, trivellazioni in acque profonde e fracking/shale gas. Anche in questo caso per quel che riguarda i prestiti generali alle società c’è una soglia del 25 per cento per i sotto-settori energetici. Quello sul petrolio e gas è un primo passo nella giusta direzione, anche se manca ancora strada da fare, dopo che per anni il settore estrattivo ha beneficiato enormemente dei fondi di Unicredit. Basti pensare che dalla firma dell’accordo di Parigi, nel 2015, la più importante banca italiana ha finanziato progetti legati all’estrazione del solo carbone per oltre 5 miliardi di dollari.

La mossa di Unicredit arriva pochi mesi dopo la pubblicazione del rapporto Un Paese di Cenere, realizzato dall’associazione Re:Common, incentrato sul ruolo che la banca ha svolto nel supportare il business del carbone in Turchia, in particolare nella regione di Mugla, dove tre impianti ampiamente obsoleti da decenni provocano impatti devastanti sulle comunità locali. Negli ultimi giorni si sono rincorse voci di un possibile addio alla controllata turca Yapi Kredi, che potrebbe dischiudere scenari inattesi. Tramite questo istituto di credito, Unicredit è stato il principale finanziatore estero delle società carbonifere turche. Società che, nonostante i sussidi ricevuti da Erdogan, sono sull’orlo della bancarotta. Non è un caso che Yapi Kredi nel solo 2018 abbia accumulato più di 800 milioni di euro di perdite.
Nella nuova policy non ci sono solo note liete. Il management di Piazza Gae Aulenti non ha avuto il coraggio di scrivere nero su bianco una data entro cui uscire anche dal finanziamento dei clienti carboniferi, che sostiene con prestiti non legati a progetti specifici. È il caso del “barone” del carbone ceco, EPH, che continua a comprare e gestire impianti decotti in molti paesi europei, inclusa l’Italia. Delle ultime ore la notizia che EPHpotrebbe comprare anche la Sorgenia italiana. La società civile aveva avanzato ad Unicredit la data del 2030 per farla finita con il carbone in ogni forma, in linea con quanto richiesto dalla comunità scientifica internazionale per salvare il clima.

«La sfida sul carbone che abbiamo posto ai vertici di Unicredit all’inizio di quest’anno in occasione dell’assemblea degli azionisti della banca è stata in buona parte vinta, a dimostrazione che il mondo della finanza è sempre più sotto pressione per l’urgenza climatica», ha dichiarato Antonio Tricarico di Re:Common. «Ma UniCredit deve ancora fare la vera cosa giusta: mollare per sempre i baroni del carbone dell’Est Europa, che oggi finanzia con corporate finance, ed ammettere che il carbone in Turchia non solo ha devastato l’ambiente, ma ha fatto perdere centinaia di milioni di euro agli azionisti».