In particolare dal 2012, anno dell’entrata in vigore della legge sui media, l’Ungheria non viene indicata, a livello internazionale, come buon esempio di libertà di stampa. Il provvedimento, chiamato subito dai sostenitori dell’opposizione «legge bavaglio», è stato concepito per mettere il settore sotto il controllo del governo. La scomparsa di due giornali storici, il Népszabadsàg nell’autunno del 2016 e il Magyar Nemzet, all’indomani del voto dello scorso 8 aprile con relativa vittoria di Orbán, ha privato il mondo dell’informazione ungherese di due voci critiche nei confronti dell’esecutivo. Il panorama attuale, per ciò che riguarda la libertà di informazione e di critica nell’Ungheria di oggi, si completa con l’avvertimento che lo scorso mese il governo Orbán ha voluto dare ai suoi oppositori.

Si tratta dell’ormai nota lista contenente i nomi di circa duecento personaggi considerati dall’esecutivo «mercenari di Geroge Soros». L’elenco è stato pubblicato dal Figyelő, settimanale vicino al governo. Tra i mesi all’indica, giornalisti, insegnanti, attivisti di Ong e avvocati impegnati sul fronte dei diritti umani. Del resto, a metà marzo, Orbán aveva annunciato tempi duri per i «nemici della patria».