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La storia è stata definita da Edward P. Thompson come la disciplina del contesto, poiché ci permette di considerare fatti, problemi e concetti solo in relazione alle circostanze in cui essi sono nati. Una buona conoscenza della storia serve a non proiettare nel passato dinamiche che sono figlie del presente, e a non pensare che ciò che era vero un tempo debba esserlo necessariamente anche oggi. Prendiamo il caso dell’eugenetica: cosa intendiamo esattamente quando utilizziamo questa parola? A quale oggetto storico ci riferiamo? A queste domande tenta di dare una risposta l’ultimo libro dello storico Francesco Cassata, il quale si concentra soprattutto sull’uso del concetto di eugenetica nel dibattito pubblico, Eugenetica senza tabù. Usi e abusi di un concetto (Einaudi, pp. 130, euro 11).

Parlare di eugenetica, cioè l’arte di migliorare artificialmente la qualità del genere umano, significa esporsi a un argomento eticamente e politicamente sensibile, che si è sempre prestato a letture ideologiche contrapposte e spesso strumentali. Oggi si parla sovente di eugenetica a proposito delle biotecnologie, delle nuove frontiere della manipolazione genetica e della procreazione artificiale. Chi intende opporsi alla sperimentazione e alla diffusione di tali strumenti evoca spesso lo spettro del passato, per suscitare le paure dell’interlocutore.

È molto diffusa in particolare l’equiparazione fra alcune delle pratiche attuali della medicina – come la terapia genetica o la diagnosi prenatale – e l’eugenetica nazista, fondata su criteri di selezione razziale. Ma davvero nel corso dell’età contemporanea è possibile individuare un unico tipo di eugenetica? Davvero si possono equiparare i primi eugenisti del tardo Ottocento, i medici che effettuavano esperimenti all’interno dei campi di concentramento nazisti e gli attuali ricercatori di biomedicina? Evidentemente no, come mostra molto bene Cassata.

Utilizzando un linguaggio al contempo semplice e rigoroso, l’autore del libro cerca di mettere un po’ di ordine fra i fatti, sottoponendo al vaglio critico convinzioni diffuse e luoghi comuni. La tesi di fondo dell’autore è che non è mai esistita un’eugenetica sempre uguale a se stessa, poiché essa ha assunto nel corso del tempo forme e significati differenti in relazione ai diversi ambienti politici, sociali e culturali. Comunque la si valuti, inoltre, l’eugenetica non può essere considerata come un corpo estraneo rispetto alla storia della scienza e della medicina.

Il termine eugenics fu coniato nel 1883 da Francis Galton, studioso poliedrico e geniale nonché cugino di Charles Darwin. Osservando l’ereditarietà dei tratti fisici e psicologici dell’uomo, Galton intendeva fornire le basi per un programma di ingegneria sociale volto a migliorare la razza umana. La sua visione era coerente con l’idea ottimistica del progresso tipica dell’età vittoriana, e non può essere considerata come un precedente delle misure eugenetiche coercitive – come le sterilizzazioni forzate – introdotte per lo più nella prima metà del Novecento.

È bene chiarire che l’adozione di provvedimenti coercitivi volti a evitare la riproduzione di individui affetti da particolari patologie fisiche o psichiche caratterizzò molti paesi occidentali prima e dopo l’avvento del nazismo, in alcuni casi in relazione allo sviluppo del welfare State. Tra i maggiori Stati protagonisti di queste prassi vi furono i democratici paesi scandinavi, la Germania e gli Stati Uniti.

Richiamando una celebre espressione di Horkheimer e Adorno, si può affermare che nel corso del Novecento l’eugenetica abbia conosciuto in diversi contesti una «dialettica», traducendosi in uno strumento repressivo e discriminatorio e contraddicendo il suo obiettivo dichiarato, ossia il miglioramento della salute e della condizione dell’uomo. Questo rovesciamento si è manifestato nella forma più estrema nel caso dei crimini nazisti, condotti anche da alcuni medici fra cui il famoso Josef Mengele, membro delle SS. Ma il fatto che vi sia un rapporto di parentela fra le diverse varianti dell’eugenetica non equivale a dimostrare un rapporto di causazione diretta fra le idee di Darwin e Galton e gli esperimenti e i genocidi nazisti, né tantomeno a legittimare un’equazione fra le varie forme di eugenetica negativa – centrate sulle sterilizzazioni forzate – e gli attuali interventi di medicina preventiva o di consulenza genetica.

Questi ultimi, come spiega Cassata, possono essere visti come una forma virtuosa di eugenetica, fondata sul rispetto dell’etica medica e sull’autonomia riproduttiva dell’individuo. Si tratta di temi complessi e spinosi, inutile negarlo. A maggior ragione il libro di Cassata può essere accolto come un buon punto di partenza per un dibattito approfondito e documentato, al di là di ogni banalizzazione o sillogismo fallace.