C’era una volta uno Stato che decise di dare in concessione a diverse imprese le nostre autostrade, vincolandole a fare investimenti e garantirne manutenzione e sicurezza. Così nacquero imprese specializzate, partecipate dagli stessi concessionari, cui poteva essere affidato, al massimo, il 40% degli appalti complessivi. Un punto di equilibrio che per anni ha assicurato concorrenza, livelli di manutenzione e sicurezza tra i migliori del mondo. In quasi 30 anni, del resto, quelle imprese sono cresciute e specializzate, rappresentando uno dei pochi comparti industriali strutturati dell’edilizia.
Tutto ciò oggi viene messo in discussione (a partire dall’occupazione) dall’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti (Dgls 50/2016) che riduce la percentuale dei lavori in affidamento diretto al 20 per cento, comprendendo tutto (manutenzione, progettazione, opere, servizi, forniture) ed affidando all’Anac non più solo un ruolo di controllo su fenomeni corruttivi ma anche un ruolo attivo nelle dinamiche di mercato. Una scelta tutta Italica (quella di ridurre il 40 per cento) e non imposta neanche dalle direttive comunitarie.
Obiettivo dichiarato: favorire l’ingresso di piccole aziende nel mercato delle manutenzioni autostradali.
Qualche domanda però sorge spontanea: come si può pensare di poter mettere in gara lotti da 40-50 chilometri di autostrada per il piccolo artigiano che, senza esperienza e mezzi, curerà la manutenzione di quel tratto? Pensiamo davvero che decine di piccole imprese possano operare, coordinare gli interventi, avere accesso e pagare regolarmente i fornitori specializzati e garantire così lo stesso livello di intervento e sicurezza?
3mila tecnici ed operai specializzati sono con il fiato sospeso, potrebbero essere buttati per strada dall’oggi al domani. Sì, perché se non verrà cambiata la norma, quelle imprese, nate e costruite per fare la manutenzione stradale, li licenzieranno. Qualcuno ci «marcerà» anche, strumentalizzando la norma per procedere ad una ristrutturazione che aveva già in mente, ma sarà stata quella norma capestro ad aver «aperto un’autostrada» a quei licenziamenti, pesando sulla coscienza del governo e dei parlamentari che nulla hanno fatto per evitare la macelleria sociale.
E ci sarà poi da «divertirsi» nel vedere come l’Anac valuterà cosa è dentro e cosa è fuori da quel 20per cento e come sarà applicata la clausola sociale prevista dal Codice che obbliga le piccole imprese vincitrici delle gare a prendersi parte dei lavoratori presenti nei cantieri, con lo strascico inevitabile di contenziosi legali, vertenze, manifestazioni, scioperi.
Insomma, il governo ha il compito di creare il lavoro dove non c’è, non di distruggere quello esistente. Dovrebbe utilizzare le norme comunitarie per favorire la crescita qualitativa delle imprese e non lisciare il pelo delle aziende così come sono, ed in Italia sono piccole, sottocapitalizzate e poco propense all’innovazione.
Recentemente l’Anac ha risposto al quesito posto dal Mise e dal Mit sull’interpretazione della norma, come richiesto dai sindacati, e oggi all’incontro al Mise – con un presidio dei lavoratori – capiremo se il governo avrà il coraggio di parlar chiaro, dopo troppi balletti che hanno buttato migliaia di famiglie nel panico. Noi, unitariamente, faremo come sempre la nostra parte, accanto a quei lavoratori, che di notte, nei week end, con la bandiera in mano ci dicono di rallentare, perché «stiamo lavorando per voi». Per una volta, siano il governo ed il Parlamento a lavorare per loro.
*Segretario generale Fillea Cgil