Al centro delle storie tribali che affondano le proprie radici in un passato indefinito c’è spesso una domanda sul destino e di frequente la risposta è che non esiste la possibilità di affrancarsene, che non è possibile alcuna rivoluzione. Anche il romanzo d’esordio di Valeria Usala, La rinnegata (Garzanti, pp. 208, euro 16) racconta di come la predestinazione stampigliata nel sangue non possa essere cancellata.

TERESA, PROTAGONISTA del romanzo, è una donna che ha talento e una forza fisica che le permette di lavorare senza sosta e con profitto. Ha sposato per amore Bruno da cui ha avuto tre figli e il romanzo si apre proprio con la prima passeggiata che la donna decide di fare, portando con sé il neonato Emilio, poco dopo il parto, senza aspettare che siano «passati i quaranta giorni di riposo previsti per il puerperio». Appena uscita sull’ingresso della taverna che gestisce insieme al marito, con l’aiuto del suo amico d’infanzia Tore, ad ostacolare la leggerezza del suo passo sono gli uomini che seduti fuori a bere la fissano, la giudicano, la desiderano in malo modo.

TUTTO IL TRAGITTO che conduce Teresa fino alla cappella della famiglia Collu, al cimitero, è una lotta costante contro le maldicenze e le ipocrisie che le riservano le donne che incontra per strada: «il muro di cordiale falsità che le donne avevano eretto era una montagna decisamente più alta da scalare e una frustrazione impossibile da combattere». La rabbia che le contrae il volto e sfianca il suo slancio viene sfogata solo su Maria, «la bruja» cioè la vecchia strega, che maledice i morti a cui Teresa è andata a fare visita.

I DUE CAPITOLI del romanzo dedicati al passato di Maria sono la parte più densa del testo, forse perché la vicenda prototipica della giovane serva che si innamora corrisposta del figlio del padrone, che infine la rinnega, aderisce perfettamente al desiderio di Usala di raccontare una storia arcaica, ben radicata nel destino dell’umanità. Quando il suo amato Vincenzo Collu decide di sposarsi, Maria lascia la casa padronale e abbandona anche sua figlia Teresa, che verrà accudita dalla nonna.

La bruja ha trasmesso a Teresa l’ostinazione, mentre dal padre ha ereditato la capacità di fare affari e di gestire il commercio di bestiame, che insieme alla taverna le hanno permesso di trasformarsi da serva in padrona. La gente del paese non glielo perdona, insieme alla bellezza e alla fierezza da cui Teresa pare abitata suo malgrado: l’impossibilità di poter condividere con lei una qualche forma di debolezza o di accidente fa da motore a una rabbia collettiva che esplode, del tutto prevista, alla fine del romanzo.

IL TESTO di Usala racconta di una terra, la Sardegna, e lo fa usando brani in lingua sarda quasi sempre tradotti in italiano. L’obbiettivo della scrittrice esordiente è soprattutto quello di narrare la storia di una donna, che contiene in sé la tragedia di tante altre. Nonostante la protagonista del romanzo viva in un tempo passato, il suo destino si ripete in quello di moltissime donne che abitano il presente, per l’impossibilità di scegliere per sé, di decidere del proprio denaro e del proprio desiderio. Teresa è un’eroina che combatte contro l’invidia e la prepotenza e che non può che immolarsi, come molte prima di lei, sull’altare della resistenza femminile.