Incendiari. Tempestosi secondo loro, secondo il nome che si sono dati. Perché Arashi vuol dire tempesta. Tre grandissimi. Akira Sakata, giapponese, 72 anni, sax alto, clarinetto, voce. Johan Berthling, svedese, 44, basso elettrico, contrabbasso acustico. Paal Nilssen-Love, norvegese, 43, batteria. Nel brano d’esordio all’Area Sismica, dove è ormai chiaro che i musicisti non conformisti si trovano benissimo, pronti a mettere in gioco tutta l’energia di cui sono capaci, ci si chiede se quello di Sakata al sax alto, dentro un vero incendio o una vera tempesta, può essere definito fraseggio. Sono grida dislocate con furiosa sapienza lungo una traiettoria minima. Tribalismo metropolitano all’ennesima potenza. Ma forse c’è anche del tribalismo orientale.

Viena da Sakata, ovviamente, non chiamiamolo leader ma punto di riferimento del trio sì. Una carriera quarantennale con le avanguardie jazzistiche e di improvvisazione in tutto il mondo. Al clarinetto in un brano successivo sorprende con un lirismo astratto eppure evocativo, sempre imprevedibile, sempre attratto da una curva acuta, da un intervallo «impossibile». Ma è il trio Arashi che mostra più chiaramente quanto sia raffinata la sua invenzione sui timbri, sugli accenti, sul ritmo. Tutto è fatto all’istante e tutto è ben preparato. Incendiari che studiano.

Splendori di improvvisazione puntillista di Nilssen-Love e di Berthling. Vengono in mente piccole riflessioni, vaghi interrogativi. Quindi la metropoli ha ancora tanto da dire. Il sapere della distruttività pensante/creativa è ancora vivo negli anfratti delle città disegnate dal capitale finanziario che per qualcuno è anche neurocapitale, cioè capace di comandare l’idiozia (partecipe) di tutti in tutte le ore. Che cosa succede qua? Com’è che questi tre spiriti liberi, black bloc e dreamers nello stesso tempo, riescono a trarre da ambienti asserviti e devastati tanta razionalità rivoluzionaria?

Sakata vocalista richiama chissà quale tradizione arcaica. Che coincide con chissà quale laboratorio di sperimentazione. È forse il clou del concerto. Declamazione con suono di caverna, di incubo terrifico, di rito propiziatorio. Propiziatorio di insurrezione generale, planetaria e cosmica. Lo si capisce quando riprende al sax la sua ricerca spasmodica di tutto quello che l’esperienza ultra-free ha messo in circolo. Le sue traiettorie ora sono più estese e in qualche modo melodizzanti. Ma Nilssen-Love attira l’attenzione con un assolo tutto sui metalli del suo set percussivo. Echi di industria ma si va oltre: negli spazi siderali.Musica fino all’ultimo respiro.

Ma l’ultimo non arriva mai, c’è sempre altra forza per un altro pensiero estremo, saggio perché estremo, c’è sempre un altro suono lacerante/meditato emesso con pienezza e chiarezza. Il bassista Berthling è il motore che produce una qualche regolarità e fa trasparire una disposizione tonale. D’altra parte Arashi non si cura di tonalità o no, la pianificazione non è il suo campo. Piuttosto la progettualità della passione. Naturalmente la professionalità è impeccabile, la tecnica super. Passione dei performer, passione degli ascoltatori nella cave dell’Area Sismica. In un bis c’è ancora quella trasformazione dell’arcaicità in contemporaneità del Sakata vocalista.