Più voli, più paghi. La più progressiva delle tasse sui voli è quella che potrebbe essere applicata in base al numero di aerei che si prendono o alle distanze che si coprono. In media, nei paesi europei c’è un 15% di viaggiatori (i frequent flyer) che prende il 70% dei voli. Quindi una minoranza che vola in continuazione, anche più volte al mese perché vive e lavora in città o stati diversi oppure perché si può permettere spesso il fine settimana in luoghi ameni, mentre la stragrande maggioranza delle persone (85%) sale molto di rado su un aereo, oppure non ci è mai salito. Evidenti anche le differenze tra i continenti: dei viaggiatori globali, il 34,3% sono asiatici, il 26,3% europei, il 22,4% nordamericani, il 10,4% mediorientali, mentre i sudamericani e gli africani contano rispettivamente solo il 4,5 e il 2,2 per cento.
Rispetto alla tassa sul kerosene o a qualche forma di carbon tax, una tassa sui viaggiatori assidui avrebbe il vantaggio di essere «socialmente più accettabile e politicamente più attraente», secondo un report della campagna Staygrounded, un network di 150 associazioni che si batte per limitare l’aumento del traffico aereo, del rumore e delle emissioni climalteranti. Idealmente, dovrebbe essere una tassa da applicare a livello globale o almeno regionale, per esempio in un’area omogenea come l’Unione Europea.

L’idea di base di questa tassa – che non è mai stata applicata – è che sui voli che si prendono in un determinato periodo di tempo, per esempio in un dato anno, si applichino aliquote progressivamente sempre più alte. Secondo i promotori, l’organizzazione inglese A Free Ride e gli economisti di NEF (New Economics Foundation) esistono varie possibilità di modularla. Un’ipotesi è che il primo volo dovrebbe essere tax-free, non tassato, per tutti, mentre sul secondo si pagherebbe una tassa pari al 9% del costo del biglietto, sul terzo l’aliquota passerebbe al 24%, e così via; al nono biglietto acquistato in un anno la tassa potrebbe salire al 240%. La tassa dovrebbe essere pagata contestualmente all’acquisto del biglietto perché i viaggiatori si rendano conto del costo effettivo del viaggio. Un database che registrasse i voli acquistati associati al numero del passaporto potrebbe tenere la contabilità dei voli di ciascuno ed evitare eventuali frodi.

Tuttavia, il numero dei voli acquistati in un determinato periodo non riflette di per sé la quantità di emissioni: un volo intercontinentale Roma-Sidney produce una quantità di CO2 pari a quella emessa da 15 voli a medio raggio europeo, per esempio, Milano-Londra. Quindi, ancora più mirata sarebbe una tassa da pagare in base alle distanze percorse, che però avrebbe il limite di non scoraggiare i voli a corto raggio che sono uno degli eccessi più evidenti del settore aereo.

Difficile dire se e quanto il Coronavirus limiterà l’inarrestabile crescita dei voli aerei che, nello scenario precedente alla pandemia, sarebbe dovuto crescere del 42% nei prossimi 20 anni, con l’apertura di 500 nuovi aeroporti nel mondo e l’espansione di altri 700, sui 9000 già esistenti. Secondo Staygrounded, questa e altre strategie per una decrescita dell’aviazione civile non sono ancora studiate come meriterebbero, mentre alle false soluzioni, dai biocarburanti ai sistemi per compensare le emissioni, si dedicano fin troppe energie.