Il più recente volume italiano di Frantz Fanon, psichiatra rivoluzionario dedito al movimento anticoloniale algerino, e autore della celebre «Bibbia della decolonizzazione», I dannati della terra, è un libro chiave per la generazione del ’68 e fonte di ispirazione per La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo.
La rivoluzione algerina e la liberazione dell’Africa, pubblicato da ombre corte (a cura di Gabriele Proglio, tradotto dal francese da lui stesso e Antonella Mauri, pp. 123, euro 12) raccoglie una serie di scritti politici inediti di Fanon, che costituiscono una sezione di un volume più ampio di inediti dell’autore martinicano, già uscito nel 2015 con La Découverte, intitolato Écrits sur l’aliénation et la liberté, edito da Jean Khalfa e Robert Young.

LA PROPOSTA di questo volume è un’aggiunta importante alla vera e propria riscoperta di Fanon nell’ambito italiano che si è svolto negli ultimi dieci anni, e che ha visto la pubblicazione o ripubblicazione di Per la rivoluzione africana (DeriveApprodi, 2006), L’anno V della rivoluzione algerina (DeriveApprodi 2007), Decolonizzare la follia: Scritti sulla psichiatria coloniale (ombre corte, 2011), e la bella ri-traduzione di Pelle nera, maschere bianche da parte di Silvia Chiletti (ETS, 2015).
La rivoluzione algerina, insieme ai volumi menzionati qui sopra, arricchisce la nostra conoscenza di Fanon al di là dei Dannati della terra ed è utile per contestualizzare lo sviluppo del suo pensiero politico, che tende a essere visto come individuale e unico, nell’ambito del movimento collettivo algerino anticoloniale. Il volume restituisce la dimensione di un Fanon immerso nel vivo della lotta per l’indipendenza algerina; gli scritti qui raccolti sono articoli non firmati che scrisse per l’organo del Fronte di liberazione nazionale algerino, El moudjahid, e quindi consoni a diffondere la linea ufficiale dell’Fln a livello internazionale. Lungi dall’essere pezzi di autore, dunque, questi testi rivoluzionari si celano dietro «all’anonimato richiesto dal lavoro editoriale. Dietro a ogni articolo, prodotto abitualmente da una sola penna, vi potevano essere intense discussioni redazionali, motivate dall’urgenza di restituire al lettore una posizione ufficiale di liberazione sui vari movimenti nazionali e internazionali», come spiega Proglio nell’introduzione.

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CIÒ CHE PIÙ COLPISCE è la dimensione panafricana e terzomondista con cui il filosofo, psichiatra e scrittore arricchisce l’analisi della situazione algerina. I saggi sono disposti in ordine cronologico e permettono di ricostruire le reazioni di Fanon simultaneamente allo svolgersi degli eventi storici. Diversi pezzi sono dedicati al conflitto con la Francia; la lotta d’indipendenza algerina durò dal 1954 al 1962 e Fanon si sofferma ad indagare le severissime ripercussioni della guerra coloniale sulla democrazia francese. Nel settembre 1957, riafferma l’indipendenza algerina come una realtà concreta e non una «rivendicazione tattica»; dichiara che «tra il popolo algerino e la Francia si è creato uno sfasamento storico; mentre la seconda pone il problema in termini di evoluzione, il primo si esprime in termini di rivoluzione».
È molto critico nei confronti della sinistra francese che non sostiene la causa dell’Fln ma piuttosto difende il diritto coloniale della Francia sul territorio algerino; «perché di sinistra e antifascisti a casa loro, alcuni francesi si ritengono in diritto di guidare gli altri popoli, di dare lezione di democrazia anche a colpi di bombe».
Come sempre, è la lucidità dell’analisi che contraddistingue lo stile letterario-politico di Fanon e la sua interpretazione radicalmente anti-intuitiva dell’effetto patologico del colonialismo sui popoli oppressi. Lungi dal portare la civiltà a un popolo «primitivo», il dominio francese ha impedito agli algerini «ogni possibilità di sviluppo e progresso»; al di là dell’Algeria, tutti coloro che sono impegnati nella lotta anticoloniale riacquistano il controllo sul loro destino e così facendo, «la storia dell’Africa, interrotta da secoli di colonialismo, riprende oggi».

LA RIVOLUZIONE AFRICANA anti-imperialista e antioccidentale costituisce la vera modernità e l’avanzare della storia, mentre l’Occidente non è più al passo con i tempi: «Così, il movimento di liberazione nazionale si afferma come una caratteristica della nostra epoca. Dà forma alla storia contemporanea, così come l’espansione imperialista ha dato forma a quella del secolo scorso».
Sebbene poi articolati in maniera più matura e sviluppata nei Dannati della terra, i temi essenziali del pensiero fanoniano sono presenti in questi saggi, soprattutto lo stretto legame istituito fra colonialismo e fascismo; finché la Francia rivendicherà il suo dominio coloniale sull’Algeria, rimarrà un paese antidemocratico e fascista. Qui scorgiamo una lezione per l’epoca contemporanea, che era già molto chiara ai terzomondisti degli anni ’50 e ’60: una nazione non può essere considerata democratica se ha interessi imperialistici, altrimenti verrà inevitabilmente condotta verso il fascismo.
Allo stesso tempo, Fanon ribadisce ai compagni algerini che la lotta nazionale deve essere sempre vista in chiave panafricana. Lui, come del resto i suoi compagni dell’Fln, vedeva la rivoluzione algerina come un modello sovversivo per tutta l’Africa.

FANON RIFIUTA la politica identitaria della Negritudine, una posizione che avrebbe rielaborato nel suo famoso saggio Sulla cultura nazionale: «L’anticolonialismo dell’africano è un anticolonialismo di lotta e non un settore della coscienza etnica».

LA RACCOLTA CONTIENE anche una bellissima lettera scritta da Fanon ad Ali Shariati, patriota e militante iraniano che tradusse parte dei Dannati della terra in persiano; il testo divenne un’ispirazione per gli ideatori della rivoluzione iraniana. Questa lettera contiene uno dei pochi accenni che l’intellettuale dedica all’Islam.
Fanon esprime anche il suo parere sul potenziale rivoluzionario della fede islamica: «nel terzo mondo… l’Islam ha, più di tutte le altre potenze sociali e alternative ideologiche, la capacità anticolonialista e il carattere antioccidentale». Allo stesso tempo, però, mette in guardia Shariati dal «rianimare lo spirito settario e religioso»; Islam e modernità possono e devono lavorare insieme in direzione del futuro, per costruire una nuova nazione, e non tornare al passato. Altrove, riferendosi all’Algeria, chiarisce che l’Islam è più che compatibile con una nazione moderna. Anche in questo senso, il libro rimane più che attuale.

È OPPORTUNO concludere con il ricordo del primo grande editore italiano di Fanon: Giovanni Pirelli, curatore di Sociologia della rivoluzione algerina e delle Opere scelte, pubblicati tutti da Einaudi negli anni 60. Pirelli, amico di Frantz Fanon e simpatizzante della causa algerina (mandava finanziamenti all’Fln), aveva ideato un ambizioso progetto editoriale che aveva come obiettivo la pubblicazione dell’opera omnia dello psichiatra martinicano; aveva intrapreso una lunga ricerca bibliografica mettendo insieme tutti gli scritti qui presenti e molti dei testi raccolti nel volume francese di Khalfa e Young. Aveva capito fin da subito l’importanza fondamentale del pensiero fanoniano per un pubblico italiano.
Sarebbe un errore leggere il recente interesse italiano per la sua opera come un mero «effetto» degli studi postcoloniali anglofoni; al contrario, bisogna ricostruire e ricordare l’influenza notevole che ebbe il suo pensiero sui terzomondisti e i protagonisti della nuova sinistra in Italia a ridosso del Sessantotto.
La sua visione lucida sulla rivoluzione extra-europea può continuare a rinnovare la critica al pensiero occidentale, negli anni 60 come oggi.